mercoledì 30 settembre 2009

Saeed Hajjarian libero dopo 106 giorni



Saeed Hajjarian, giornalista, intellettuale, politico riformista tra i più noti e autorevoli nel suo paese, è stato rilasciato oggi dopo 106 giorni di detenzione. Era stato arrestato infatti nei giorni immediatamente successivi alle elezioni del 12 giugno, nonostante il suo stato di invalidità dovuto a un grave attentato subito nel 2000 ad opera di miliziani Basij.
Il suo avvocato, Gholamali Riahi, senza specificare ulteriori dettagli, ha affermato che il rilascio è avvenuto su cauzione e che Hajjarian dovrà comunque comparire alla prossima udienza del processo di massa in corso a Tehran.
Nei giorni scorsi la tv di stato iraniana aveva trasmesso una trasmissione televisiva in cui Hajjarian, con altri due prigionieri, Saeed Shariati e Mohammad Atrianfar, faceva pubblica ammenda dei suoi errori politici. Nel corso del programma Hajjarian, che parla con grande difficoltà a causa degli esiti dell'attentato del 2000, era apparso molto affaticato. Già il 25 agosto scorso, nel corso della quarta udienza del "processo farsa" di Tehran, Hajjarian aveva sottoscritto e fatto leggere a Shariati un documento di abiura, evidentemente frutto di costrizione, in cui annunciava le dimissioni dal suo partito (il Fronte di Partecipazione Islamico Iran) e ammetteva le sue responsabilità nei presunti complotti architettati con la fondazione Soros per rovesciare il regime.

(l'immagine in alto è una delle prime di Hajjarian libero)

giovedì 24 settembre 2009

Rilasciata Shiva Nazar Ahari


Shiva Nazar Ahari, attivista per i diritti umani e per l'emancipazione delle donne in Iran, è stata rilasciata oggi, dopo 103 giorni di prigionia.
E' stata pagata per lei una cauzione di 200mila dollari. La cifra richiesta originariamente era stata di 500mila dollari, fuori della portata della famiglia Nazar Ahari. In seguito alle ripetute richieste dei genitori le autorità hanno abbassato le loro pretese.
La notizia dell'imminente rilascio si era diffusa nel corso della giornata e un piccolo gruppo di amici e attivisti ha atteso per ore che le porte di Evin si schiudessero. Un'attesa che è stata infine premiata: Shiva Nazar Ahari è di nuovo libera.

(la foto in alto è la prima immagine di Shiva subito dopo il rilascio ed è stata scattata appena fuori dalla prigione di Evin)

domenica 20 settembre 2009

"Liberate mia figlia". Lettera del padre di Shiva Nazar Ahari al capo della magistratura iraniana Sadegh Larijani


Mohamad Nazar Ahari, padre dell'attivista per i diritti umani Shiva Nazar Ahari, detenuta nel carcere di Evin ormai da tre mesi, ha inviato una lettera al capo della magistratura Sadegh Larijiani.
Nella lettera egli ricorda i principali elementi del caso giudiziario riguardante la figlia: il modo in cui è stata arrestata il 14 giugno scorso (sul posto di lavoro, dopo un'irruzione notturna in casa, dove non era stata trovata); la sua attività in difesa dei diritti umani come redattrice del sito Committee of Human Rights Defenders; la sua attività di volontariato con bambini in difficoltà e privi di di istruzione per l'associazione Khaneh Koodak Shush; la sua laurea in ingegneria e l'impossibilità per lei di proseguire gli studi a causa del bando posto dalle autorità nei suoi confronti (e nei confronti di molti altri studenti); l'esorbitante ammontare della somma fissata come cauzione per il suo rilascio (500mila dollari, una somma talmente elevata, sottolinea il padre "da creare negli avvocati il dubbio che essa sia stata fissata con la piena consapevolezza della nostra impossibilità di pagarla, per legittimare in tal modo il prolungamento della detenzione di mia figlia").
La lettera si conclude così:
"Onorevole capo della magistratura,
l'amore e il profondo rispetto di mia figlia per il genere umano sono il suo solo crimine. La prigione è fatta per tenere in disparte coloro che mettono in pericolo la società, non mia figlia che ha dedicato la sua intera vita, in età adulta, al servizio della comunità. Poiché finora nessun funzionario responsabile o nessun altro organismo  ha fornito alcuna ragione o spiegazione per la diffiicile situazione in cui mia figlia si trova, e poiché il rispetto dei diritti dei cittadini e della giustizia islamica sono tra i suoi obiettivi dichiarati in questa nuova era [Sadegh Larijani è diventato capo della magistratura lo scorso 15 agosto, n.d.t.], le chiedo umilmente di riesaminare il fascicolo relativo a mia figlia, per procedere a una riduzione della somma stabilita come cauzione e agevolare il suo rilascio.
Rispettosamente

Mohamad Nazar Ahari".

sabato 19 settembre 2009

Prigionieri politici in Iran 12: Ahmad Zeydabadi



12: Ahmad Zeydabadi

arrestato il 13 giugno 2009

Giornalista, laureato all’Università di Tehran in relazioni internazionali, specialista di questioni medio-orientali, Zeydabadi scrive per il sito Roozonline e per la sezione il lingua farsi della BBC, BBC Persian.
Dal gennaio 2008 è presidente (con mandato biennale) dell’associazione Advare Tahkim Vahdat, la più importante organizzazione iraniana di ex-studenti e studenti, nata nel 1979 come associazione islamica conservatrice contrapposta ai gruppi studenteschi laici e progressisti, ma negli anni Novanta evolutasi sino a diventare una delle più note associazioni riformiste e democratiche dell’Iran, molto attiva nella difesa dei diritti umani. Da allora spesso i suoi membri e i suoi leader hanno subito provvedimenti restrittivi della libertà personale.
Da molti anni le opinioni politiche riformiste di Zeydabadi e la sua opposizione al regime di Ahmadinejad e alle posizioni del leader supremo Khamenei sono note nel paese.

PRECEDENTI

Zeydabadi ha già trascorso lunghi periodi nel carcere di Evin. Fu arrestato il 7 agosto 2000 da una dozzina di agenti in borghese presentatisi a casa sua. L’arresto era legato agli articoli da lui scritti nel corso del 1999 per giornali via via chiusi dalle autorità. In particolare Zeydabadi scriveva allora per Hamshahri (Il cittadino). La moglie disse che il procuratore Saeed Mortazavi aveva motivato il provvedimento con il rifiuto di Zeydabadi di presentarsi in tribunale per rispondere alla corte. Sta di fatto che questi venne rinchiuso in cella di isolamento nel braccio 240 di Evin per due mesi, per poi essere trasferito il 12 ottobre 2000 nella sezione Qarantina del braccio 3, di solito riservata ai detenuti comuni (ladri e spacciatori) e inusuale per un giornalista, poi nella cosiddetta sezione Amuzeshgah (“centro di riabilitazione”), infine nella sezione 5. Durante la detenzione, per 12 giorni rimase in sciopero della fame in segno di protesta contro le condizioni carcerarie. Le accuse a suo carico furono rese note solo in un’udienza preliminare del 21 febbraio 2001 (sei mesi e mezzo dopo l’arresto): offesa e diffamazione delle autorità, diffusione di menzogne, disturbo della pubblica opinione, attentato alla sicurezza nazionale (fonte: Amnesty International). E inoltre: attività sovversive, blasfemia, propaganda anti-islamica, offese contro il leader supremo Khamenei e contro il suo predecessore Khomeini (fonte: Reporters Sans Frontières). Era quello il periodo in cui il regime, dopo alcuni di anni di relativa libertà, e per volontà del leader supremo Khamenei, aveva sferrato un pesante attacco alla libertà di espressione e di informazione. A partire dal giornale Salam, chiuso dalle autorità nel luglio 1999 suscitando reazioni e proteste, molti altri organi d’informazione vennero bloccati o chiusi (addirittura 18 nel solo mese di aprile 2000) e moltissimi giornalisti arrestati.
Ahmad Zeydabadi venne rilasciato il 28 febbraio del 2001 dietro pagamento di cauzione di 75mila dollari; ma non trascorsero due settimane e fu riarrestato (l’11 marzo 2001) insieme ad alcune decine di membri e sostenitori dell’associazione Iran Freedom Movement e subito nuovamente rilasciato (il 12 marzo).
Uno speciale tribunale amministrativo presieduto da Saeed Mortazavi lo condannò a 23 mesi di prigione e a 5 anni di sospensione dei diritti civili. La Corte d’Appello di Tehran ridusse la pena a 13 mesi. Avendone scontati già sette di custodia cautelare tra il 2000 e il 2001, Zeydabadi ritornò a Evin il 13 aprile 2003 per scontare i restanti 6 mesi.
In anni più recenti Zeydabadi ha scritto sui temi più scottanti che riguardano l’Iran, spesso intervendendo come opinionista su organi d’informazione stranieri e criticando a più riprese la poltitica economica e quella estera del governo Ahmadinejad (“È pericoloso legare il destino economico di un paese al prezzo fluttuante del petrolio: se il prezzo dovesse improvvisamente scendere il governo non sarebbe più in grado di assicurare al paese le necessarie importazioni.”) . Ha anche scritto articoli in cui con sferzante ironia si è fatto beffe della corsa al nucleare dell’Iran e della convinzione che l’energia nucleare rappresenti la soluzione di tutti i mali del paese. Il 10 aprile 2007, sul sito Adwarnews, Zeydabadi ha poi compiuto un gesto senza precedenti: si è rivolto con una lettera aperta direttamente al leader supremo Khamenei chiedendogli di autorizzare un dibattito aperto su un tema così importante, quello del nucleare, e ponendo una domanda di metodo che va ben oltre il tema contingente: “Fare domande pubbliche al leader supremo, mettere in discussione le sue dichiarazioni e le sue azioni, è vietato in Iran?” Nel corso dell’articolo Zeidabadi prosegue poi argomentando in questo modo: “Dal punto di vista religioso, sappiamo che dal Profeta fino ai suoi seguaci, inclusi il primo Imam degli Sciti (Ali) e altri grandi personalità, non è mai stata intrapresa un’azione forte e violenta contro chi non era d’accordo con loro, e anche quando erano molto irritati essi rispondevano alle parole con le parole e alle idee con le idee, e non mandando gli oppositori in tribunale perché fossero giudicati e puniti. Nel campo della logica e della ragione, tutto concorre ad indicare la necessità di poter criticare i leader delle società e delle nazioni, senza riguardo per il loro rango o per la loro importanza. Allo stesso modo nel campo delle norme: per quanto ne so, è considerato un crimine dalle leggi insultare il leader supremo, ma non criticarne i comunicati, le dichiarazioni o le decisioni.”

L'ARRESTO NEL GIUGNO 2009

Sulla data del recente arresto di Ahmad Zeydabadi, nel giugno 2009 le fonti non concordano: 12 giugno (FIDH), 13 giugno (The Guardian), 14 giugno (Reporters Sans Frontières), addirittura 21 giugno (Roozonline). In ogni caso le notizie fornite sul suo conto dalla moglie a Rooozonline sono molto allarmanti. Zeydabadi è stato tenuto in completo isolamento per 35 giorni, la famiglia non sapeva dove fosse e solo in agosto la moglie ha avuto la possibilità di incontrarlo per la prima volta nel carcere di Evin, accompagnata dall’avvocato. Ella ha raccontato che il marito aveva iniziato come (nel 2000) uno sciopero della fame di protesta e si era diffusa la voce che fosse stato trasferito in ospedale. In realtà le guardie carcerarie lo hanno semplicemente portato da un medico che lo ha convinto a interrompere lo sciopero persuadendolo della sua inutilità perché nessuno, fuori del carcere, ne era a conoscenza. Quel medico è stato l’unico essere umano (secondini a parte) incontrato da Zeydabadi nei primi 35 giorni di detenzione. Senza luce, senza suoni, senza incontrare nessuno per 35 giorni: questa è stata la condizione vissuta da Ahmad Zeydabadi in cella di isolamento. Chiamarla cella, anzi, è inappropriato: egli ha detto alla moglie di essere stato rinchiuso in una sorta di container (lungo un metro e mezzo) che sembrava una tomba. Quando lo ha incontrato, la moglie lo ha trovato molto dimagrito (20 chili circa) e con la barba lunga, ma soprattutto prostrato nello spirito (non smetteva di piangere) e non più completamente in sé. In isolamento Zeydabadi avrebbe cominciato a mostrare attitudini suicide e, non avendo a disposizione nemmeno un oggetto con cui tentare di uccidersi, avrebbe cominciato a urlare. A quel punto in prigione si sono resi conto della sua ormai precaria salute mentale e gli hanno cambiato cella, ma tenendolo sempre in isolamento (nel braccio 2A di Evin) e lasciandolo all’oscuro su tutto ciò che avveniva per le strade di Tehran e dell’Iran: gli è stato detto che le proteste erano terminate e che quasi tutti i prigionieri erano stati liberati.
Coloro che lo interrogano in carcere vogliono costringerlo a rinunciare a qualsiasi attività politica e giornalistica.
Nel frattempo Ahamad Zeydabadi è comparso in due udienze del processo farsa in corso a Tehran: la seconda dell’8 agosto (caratterizzata dalla presenza in aula della studiosa francese Clotilde Reiss) e la quarta del 25 agosto.




Prigionieri politici in Iran 13: Mohammad Maleki
Prigionieri politici in Iran 11: Saeed Laylaz
Prigionieri politici in Iran 10: Isa Saharkhiz
Prigionieri politici in Iran 9: Kian Tajbakhsh
Prigionieri politici in Iran 8: Mahsa Amrabadi e Masoud Bastani
Prigionieri politici in Iran 7: Mohammad Ali Dadkhah
Prigionieri politici in Iran 6: Shiva Nazar Ahari
Prigionieri politici in Iran 5: Saeed Hajjarian
Prigionieri politici in Iran 4: Mitra Farahani
Prigionieri politici in Iran 3: Bijan Khajehpour
Prigionieri politici in Iran 2: Abdolfattah Soltani
Prigionieri politici in Iran 1: Jila Baniyaghoub e Bahaman Ahamadi Amoee

domenica 13 settembre 2009

Rilasciato l'avvocato Mohammad Ali Dadkhah


Pagata per lui una cauzione di 500.000 dollari

L'avvocato Mohammad Ali Dadkhah, è stato rilasciato oggi dopo 68 giorni di carcere. E' stata pagata per lui una cauzione di 5 milardi di rials iraniani, pari a 500mila dollari statunitensi. L'entità della cauzione, stando alle notizie ufficiali era stata concordata mercoledì scorso in ribunale dai due legali di Dadkhah, Alizadeh Tabatabai e Abdolfattah Soltani (quest'ultimo a sua volta è stato da poco rilasciato su cauzione dopo oltre due mesi di detenzione).
Fondatore con il premio Nobel per la pace Shirin Ebadi del Defenders of Human Rights Center di Tehran, Dadkhah ha trascorso quasi un mese in isolamento nella sezione 209 del carcere di Evin, e ha subito pressioni e maltrattamenti che avevano lo scopo di indurlo a confessare presunti legami suoi e degli altri attivisti del DHRC con i paesi stranieri nemici della Repubblica Islamica dell'Iran.

mercoledì 9 settembre 2009

Prigionieri politici in Iran 11: Saeed Laylaz



11) Saeed Laylaz

Arrestato il 17 giugno 2009

Economista, analista politico e giornalista, Saeed Laylaz è docente alla Shahid Beheshti University di Tehran.
Da oltre venticinque anni scrive di economia su alcuni dei principali giornali riformisti iraniani, ed è attualmente collaboratore del quotidiano Sarmayeh (Capital). Sarmayeh è un giornale che dedica particolare attenzione ai temi dell’economia ed è accusato dai conservatori di essere il “capofila tra i mezzi d’informazione che sono in mano ai riformisti e tentano di screditare l’azione del governo, creare dubbi e persino inventare notizie e statistiche” (sono parole del giornale conservatore Kayhan).
Saeed Laylaz è stato in passato consulente dell’ex presidente Mohammad Khatami, così come è anche stato tra i principali consiglieri del candidato di opposizione Mir Hossein Mousavi nel corso della recente campagna elettorale. Ha spesso e duramente criticato la politica economica di Ahmadinejad e tuttavia in un articolo pubblicato sul Guardian il 30 marzo 2009, alla vigilia del Summit G20 che si stava per svolgere a Londra, ha espresso il suo rammarico per l’esclusione dell’Iran dal summit. In quell'articolo Laylaz sottolinea l’importanza e il peso internazionale dell’economia iraniana e al tempo stesso ricorda ai leader del mondo che “le sanzioni colpiscono l’iraniano medio più di quanto creino impacci al governo. È improbabile che esse pongano un freno al fondamentalismo e al radicalismo religioso. I radicali iraniani, come fanno i loro omologhi in qualsiasi altro luogo, amano essere isolati e la crisi economica li aiuta a reclutare sostenitori”.
Laylaz è stato arrestato il 17 giugno scorso a casa sua. Sua moglie ha riferito al sito Roozonline che lunedì 3 agosto ha ricevuto dal marito una telefonata. Saeed Laylaz ha raccontato che non ha ancora diritto a ricevere visite e che si trova tuttora in isolamento, perché gli interrogatori, per lui, non sono terminati.
“Siamo molto preoccupati – ha detto la moglie – e vorremmo capire che genere di confessioni stanno cercando di estorcergli da 50 giorni”. La signora Laylaz ha aggiunto di aver chiesto al marito se anche lui sta per essere processato e se stanno cercando di fargli confessare qualcosa, come accaduto ad Abtahi e a Atrianfar (nella foto); ma lui ha risposto stupito: “Quale processo? Qualcuno ha confessato?” Una ulteriore conferma dello stato di assoluto isolamento in cui Saeed Laylaz si trova da, ormai, più di 50 giorni.


Aggiornamento del 26 agosto

Il giorno del processo è arrivato anche per Saeed Laylaz. Per la prima volta dal giorno del suo arresto, egli è apparso in pubblico in occasione della quarta udienza del "processo farsa" (foto sopra), svoltasi il 25 agosto e caratterizzata dalla "confessione" pubblica del politico riformista Saeed Hajjarian.
Sulla presenza in aula di Laylaz le agenzie non hanno fornito notizie rilevanti e, al momento in cui scriviamo, non sappiamo altro se non che lui era presente in aula. Questo, nel codice silenzioso dei media iraniani, ufficiali e semiufficiali, potrebbe significare che da lui le autorità non hanno ancora ottenuto alcuna ammissione di colpa o pubblica richiesta di perdono. Infatti i video del processo che la tv di stato trasmette sono rigorosamente confenzionati con lo scopo di corrispondere al copione della grande "confessione di massa". Chi non rispetta quel cliché viene accuratamente nascosto o evitato dalla regia televisiva dello "show trial".
Sul Los Angeles Times l'inviato Borzou Daragahi osserva che la smorfia sorridente (e irridente) con cui Laylaz è stato ripreso dal fotografo dell'agenzia Fars News lascia sperare che il suo spirito non sia ancora del tutto piegato dalla lunga prigionia.
Daragahi ricorda anche, per l'occasione, alcune profetiche parole dette da Laylaz proprio al LAT alla vigilia delle elezioni: "Sono preoccupato per i prossimi 10-12 giorni: il governo è sempre più irritato e incattivito".
Una settimana più tardi Laylaz sarebbe stato arrestato.




Prigionieri politici in Iran 13: Mohammad Maleki
Prigionieri politici in Iran 12: Ahmad Zeydabadi
Prigionieri politici in Iran 10: Isa Saharkhiz
Prigionieri politici in Iran 9: Kian Tajbakhsh
Prigionieri politici in Iran 8: Mahsa Amrabadi e Masoud Bastani
Prigionieri politici in Iran 7: Mohammad Ali Dadkhah
Prigionieri politici in Iran 6: Shiva Nazar Ahari
Prigionieri politici in Iran 5: Saeed Hajjarian
Prigionieri politici in Iran 4: Mitra Farahani
Prigionieri politici in Iran 3: Bijan Khajehpour
Prigionieri politici in Iran 2: Abdolfattah Soltani
Prigionieri politici in Iran 1: Jila Baniyaghoub e Bahaman Ahamadi Amoee

Prigionieri politici in Iran 10: Isa Saharkhiz



10) Isa Saharkhiz

arrestato il 4 luglio 2009

Giornalista e politico, Isa Saharkhiz è un esponente molto in vista dell’ala riformista della società civile iraniana. È nato ad Abadan nel 1954, è cresciuto a Karaj, ha studiato e si è laureato in Economia all’Università di Tehran. È stato in prima linea nel sostenere, con i suoi scritti, la Rivoluzione che nel 1979 rovesciò lo Shah Reza Pahlavi. Ha poi avuto un fratello morto sul fronte della guerra contro l’Iraq.
Trasferitosi a New York, è stato responsabile alle Nazioni Unite della Islamic Republic News Agency (IRNA, l’agenzia di stato iraniana). È tra i fondatori dell’Associazione per la difesa della libertà di stampa in Iran. Durante la presidenza di Mohammad Khatami è stato capo del Dipartimento Stampa del Ministero della Cultura. Il suo lavoro ha ottenuto allora molti consensi e il periodo del suo incarico al ministero è stato soprannominato in Iran “la primavera del giornalismo”.
Sotto il presente regime la sua stella politica ha cominciato invece a declinare. Saharkhiz ha denunciato a più riprese la drammatica situazione dei diritti umani, le violazioni contro la libertà d’informazione, le condizioni inumane delle prigioni iraniane. Non ha risparmiato critiche aspre (e pubbliche) alla nuova svolta autoritaria impressa al paese dal leader supremo Ali Khamenei.
Nel 2006, parlando a un gruppo di studenti radunati per partecipare allo sciopero della fame internazionale proclamato dal dissidente Akbar Ganji in difesa dei prigioneri politici, Saharkhiz disse: “Quello che sta accadendo, ciò di cui siamo testimoni, non è altro che il risultato della concentrazione di tutto il potere nelle mani di un solo uomo (Khamenei) e del suo controllo sulle bande armate che si occupano della sicurezza”. Ai due periodici Aftab (Il Sole) e Akbar Eghtesadi (Notizie economiche), di cui era direttore e editore, fu revocato il permesso di pubblicazione. Saharkhiz stesso venne condannato a quattro anni di prigione e a cinque di sospensione dalla professione giornalistica. Questo non ha frenato la sua penna e la sua passione politica.
Isa Saharkhiz ha condotto la campagna elettorale per le elezioni del 12 giugno sostenendo attivamente la candidatura di Mehdi Karroubi. Non appena sono stati chiari l’esito degli scrutinio e la natura fraudolenta della vittoria di Mahmoud Ahmadinejad, dal sito Roozonline (che ospita regolarmente i suoi contributi), Isa Saharkhiz ha tuonato: “Che gli piaccia o no, dopo vent’anni di potere assoluto, Ali Khamenei si sta incamminando per la stessa discesa dell’ultimo Shah dell’Iran, Mohammad Resa Pahlavi. Il leader supremo ha scelto la strada della tirannia, che i popoli dell’Iran e del mondo intero hanno già parecchie volte gettato nella spazzatura della storia”.
Il 20 giugno la milizia non lo ha trovato in casa, dove è entrata minacciando di sfondare la porta; in compenso ha prelevato vari oggetti di sua appartenenza, tra cui un computer e materiale propagandistico per la campagna di Karroubi. Nei giorni seguenti Saharkhiz ha provato a nascondersi ma, poiché da tempo gli era vietato lasciare l’Iran, ha dovuto farlo all’interno del paese. All’inizio di luglio Roozonline ha pubblicato un suo nuovo articolo intitolato Benvenuto al “Fronte verde della speranza”, in cui Saharkhiz esorta Mir Hossein Mousavi e i suoi a “formare e annunciare un ‘governo ombra’ che si tenga pronto per amministrare il paese il giorno dopo la caduta di Ahmadinejad”.
Due giorni più tardi Isa Saharkhiz è stato rintracciato e arrestato nel nord dell’Iran. Da allora è detenuto in luogo sconosciuto, senza possibilità di parlare con il suo avvocato e senza che si sappiano quali accuse gli vengono contestate. L’unico contatto con il mondo Saharkhiz lo ha avuto il 23 luglio, quando ha potuto chiamare al telefono suo figlio Mehdi (27 anni, nella foto insieme al padre) che vive nel New Jersey. A lui Saharkhiz ha detto che durante la cattura gli sono state rotte numerose costole, che è tenuto in isolamento, che è stato rintracciato dalla milizia grazie ai sistemi Nokia. “Non vi aspettate di rivedermi presto – ha aggiunto -, resterò qui a lungo”.
Pochi giorni dopo l’arresto del padre, Mehdi Saharkhiz ha scritto una lettera aperta ad Ahamdinejad intitolata Se conoscesse mio padre e pubblicata su Roozonline. Dagli Stati Uniti Mehdi è in questi mesi tra i principali attivisti della protesta iraniana, anche grazie a una intensissima attività di blogger condotta sia su twitter e youtube (con il nickname Onlymehdi) che su facebook. Un gruppo in sostegno di Isa Saharkhiz (amministrato in questi giorni da Mehdi) è presente su facebook.


Aggiornamento del 16 agosto 2009

Apprendiamo dal figlio Mehdi che ieri, 15 agosto, Isa Saharkhiz ha incontrato per la prima volta dal giorno del suo arresto il suo avvocato. Si trova in isolamento e gli viene perciò impedito di leggere i giornali e di avere qualsiasi contatto con il mondo esterno. Sin dal prinicipio della detenzione è stata richiesta la visita di un medico, che però a tutt'oggi non c'è stata. L'incontro con l'avvocato è durato 20 minuti ed è avvenuto alla presenza di un agente del ministero della sicurezza.


Aggiornamento del 19 agosto 2009

Isa Saharkhiz ha ricevuto la visita in prigione di sua moglie e di sua figlia. Si trova sempre in isolamento. L'impressione che le due donne hanno avuto incontrandolo è che abbia perso almeno 15 chili di peso. Ha infatti difficoltà a mangiare a causa di problemi allo stomaco, e dorme poco e male per i dolori al petto procurati dalle costole rotte. Ha barba e capelli molto più lunghi del solito. Nonostante le pressioni psicolgiche subite in carcere, Saharkhiz viene descritto forte nello spirito e nella volontà. Ha infatti affermato che non intende rispondere ad alcun interrogatorio senza la presenza del suo avvocato e di tre membri della commissione Shahroudi (la commissione parlamentare di inchiesta sulla situazione dei detenuti nelle carceri iraniane). Ha inoltre annunciato che, una volta fuori del carcere, ha intenzione di denunciare coloro che lo hanno picchiato e coloro che lo hanno arrestato senza alcuna ragione o prova.


Aggiornamento del 3 settembre 2009

In una laconica telefonata fatta alla famiglia, Isa Saharkhiz, giunto ormai al suo sessantesimo giorno in carcere, ha detto che è stato portato in tribunale, dove gli è stato comunicato che resterà in prigione per altri due mesi. Ne dà notizia il sito Roozonline.



Prigionieri politici in Iran 13: Mohammad Maleki
Prigionieri politici in Iran 12: Ahmad Zeydabadi
Prigionieri politici in Iran 11: Saeed Laylaz
Prigionieri politici in Iran 9: Kian Tajbakhsh
Prigionieri politici in Iran 8: Mahsa Amrabadi e Masoud Bastani
Prigionieri politici in Iran 7: Mohammad Ali Dadkhah
Prigionieri politici in Iran 6: Shiva Nazar Ahari
Prigionieri politici in Iran 5: Saeed Hajjarian
Prigionieri politici in Iran 4: Mitra Farahani
Prigionieri politici in Iran 3: Bijan Khajehpour
Prigionieri politici in Iran 2: Abdolfattah Soltani
Prigionieri politici in Iran 1: Jila Baniyaghoub e Bahaman Ahamadi Amoee

martedì 8 settembre 2009

Prigionieri politici in Iran 9: Kian Tajbakhsh



9) Kian Tajbakhsh

arrestato il 9 luglio 2009

Il suo è stato il primo caso di cittadino americano arrestato in Iran dopo le elezioni del 12 giugno. Tajbakhsh ha infatti un doppio passaporto (iraniano e americano).
È studioso di sociologia e urbanistica. Ha svolto i suoi studi universitari a Londra (Imperial College e University College) e ha compiuto il Ph.D a Columbia University (New York). È stato a lungo membro del Social Science Research Council (SSRC), la più importante organizzazione americana di studiosi in scienze sociali, nell’ambito della quale si è occupato specialmente dei programmi riguardanti il Medio Oriente e l’Africa del Nord.
Ha insegnato in atenei americani e iraniani. In particolare è stato per sette anni docente di Governo e politiche urbane alla New School di New York, dove ha tuttora l’incarico di senior resarch fellow. Ha pubblicato due libri molto noti nel suo campo: The Promise of the City: Space, Identity and Politics in Contemporary Social Thought (University of California Press, 2001) e Social Capital: Trust, Democracy and Development (in farsi).
È un esperto di fama internazionale in politiche sociali, pianificazione urbana, salute pubblica, amministrazione locale. È stato consulente del Ministero degli Interni iraniano, così come di organismi internazionali quali la Banca Mondiale e l’Open Society Institute (fondato da George Soros). Si è occupato anche dei progetti di ricostruzione seguiti al devastante terremoto del 2003 a Bam.
Nel 2007 era stato già arrestato con l’accusa di aver fomentato la protesta contro il regime islamico ed era rimasto nel carcere di Evin per oltre quattro mesi. Dopo quell’esperienza aveva scelto di rimanere in Iran, dove vive la sua famiglia. Nel 2007 è nata la sua prima figlia e da allora Tajbakhsh si è deliberatamente tenuto lontano dalla politica, dedicandosi ai suoi studi e a scrivere libri, benché le sue attività scientifiche abbiano continuato ad essere tenute sotto stretta sorveglianza dalle autorità.
È stato arrestato alle 9 di sera del 9 luglio. Due uomini che si sono identificati come agenti dei servizi iraniani si sono presentati a casa sua e hanno cominciato a interrogare lui e la moglie. Dopo tre ore, lo hanno prelevato e condotto in luogo ignoto senza fornire alcuna giustificazione legale per il provvedimento. Hanno portato via anche due computer e altri oggetti personali di Tajbakhsh. Si è poi saputo che egli sarebbe accusato di avere collaborato con Hossein Raman, impiegato dell'ambasciata britannica, a sua volta arrestato, al quale il regime attribuisce un ruolo chiave nell'organizzazione delle proteste post-elettorali.
I suoi colleghi della New School hanno tentato di consegnare una petizione per il suo rilascio (con 800 firme) ai delegati della missione iraniana alle Nazioni unite, i quali però hanno rifiutato di riceverla. È nato anche un sito, FreeKian2009 che raccoglie le firme per un’altra petizione e racconta la storia di Kian Tajbakhsh. Altri appelli sono per ora rimasti inascoltati. Un ritratto di Kian Tajbakhsh (con un'accorata esortazione alla sua liberazione), è stato pubblicato il 31 luglio sul Guardian.


Aggiornamento del 1° agosto 2009

Si sono rivelati reali e fondati i timori che la famiglia e gli amici di Kian Tajbakhsh avevano espresso al corrispondente dell'Associated Press lo scorso 17 luglio: che cioè Tajbakhsh fosse detenuto e sottoposto a pressioni per estorcergli confessioni da usare nel corso di un processo farsa da dare in pasto al pubblico televisivo dell'Iran. Kian Tajbakhsh è infatti oggi comparso in pubblico (foto sopra), per la prima volta dal giorno del suo arresto, nel corso della conferenza stampa seguita alla prima udienza del cosiddetto "processo farsa" (le foto di Tajbakhsh sono state pubblicate online dall'agenzia semi-ufficiale Farsnews). Il processo è organizzato dalla Corte Rivoluzionaria di Tehran contro un primo gruppo di coloro che sono stati arrestati dopo le elezioni del 12 giugno. L'accusa, per gli imputati, è quella di avere organizzato la protesta post-elettorale con il contributo e il sostegno di paesi occidentali ostili alla Repubblica Islamica dell'Iran: in sostanza di avere complottato contro il Paese. Si tratta di reati per i quali in Iran può essere comminata la pena di morte. È chiaro che la vita, il curriculum internazionale e il doppio passaporto di Kian Tajbakhsh lo rendono il candidato ideale cui cucire addosso il ruolo di "spia al servizio delle potenze straniere".
Un comunicato diffuso dalla famiglia e dagli amici di Tajbakhsh respinge con veemenza queste accuse, riaffermando che egli ha sempre mantenuto una posizione di neutralità politica impegnandosi, con il suo lavoro di studioso, nello sforzo superare le barriere culturali. Nel comunicato viene inoltre ribadito che Tajbakhsh, nel corso di queste settimane, è stato detenuto in luogo ignoto, senza la possibilità di incontrare né il suo avvocato né la famiglia.


Aggiornamento del 2 agosto 2009

L'agenzia Associated Press (ripresa dal New York Times) cita la testimonianza di Pamela Kilpadi, una ricercatrice che stava lavorando a un libro con Kian Tajbakhsh. "So per certo - ha detto la Kilpadi - che Kian non ha giocato alcun ruolo negli incidenti post-elettorali che si sono verificati in Iran. Ha persino detto che non sarebbe andato a votare alle elezioni. In quanto studioso indipendente Kian ha sempre perseguito la neutralità politica".
La Kilpadi, facendo riferimento alle "confessioni" e alla "ammissioni di colpa" di Tajbakhsh e di altri imputati nel corso del processo, ha aggiunto: "Si tratta di dichiarazioni estorte con la forza e sotto minaccia a qualcuno che è tenuto in un luogo segreto, senza la possibilità di avere contatti con gli avvocati, la famiglia, gli amici, in violazione ai trattati sui Diritti Umani dei quali l'Iran è presumibilmente firmatario".


Aggiornamento del 27 agosto 2009

Se sperava di potersi dedicare ai suoi libri, agli studi e alla famiglia, Kian Tajbakhsh starà vivendo questi mesi di detenzione e le udienze del "processo farsa" in corso a Tehran come il peggiore degli incubi. Il teorema accusatorio gli ha infatti attribuito un ruolo centrale nella progettazione di quella che le autorità di Tehran definiscono la "rivoluzione di velluto". Essa sarebbe stata pianificata dalle potenze occidentali (Stati Uniti e Gran Bretagna in primis) per sovvertire l'ordine costituito della Repubblica Islamica. La quarta udienza del "processo farsa", svoltasi il 25 agosto (foto a sinistra), ha fatto definitiva chiarezza su quale ricostruzione intenda dare il regime dei fatti degli ultimi mesi. E, in questa ricostruzione, la figura di Tajbakhsh è il tassello senza il quale il castello cadrebbe: colui che avrebbe fatto da anello di congiunzione tra le forze straniere nemiche dell'Iran e le forze dell'opposizione interna.
Nel corso dell'udienza del 25, da un lato il politico e giornalista riformista Saeed Hajjarian (arrestato nonostante sia rimasto invalido dopo un attentato subito nel 2000) è stato costretto a sottscrivere una dichiarazione in cui indica proprio Tajbakhsh come il punto di riferimento in Iran della Soros Foundation, accusata di tramare contro il regime. Dall'altro lo stesso Tajbakhsh (al quale, è bene ricordarlo, non è stato consentito nemmeno di consultare e nominare un avvocato difensore di sua scelta) è stato costretto a leggere in aula la sua "confessione" (ne dà notizia il sito filogovernativo PressTv) in cui chiama in causa l'ex presidente Mohammad Khatami e l'ex rappresentante dell'Iran alle Nazioni Unite Mohammad-Javad Zarif. Nel 2006 essi avrebbero incontrato di persona George Soros. Del resto sin dal 1997, cioè da quando era diventato presidente, Khatami sarebbe stato in contatto con la Fondazione Soros (e complice del suo piano sovversivo) e avrebbe incontrato più volte Tajbakhsh fino a tutto il 2005.
Inutile segnalare un'anomalia in questa ricostruzione: perché il presidente Khatami, già dal 1997, avrebbe dovuto tramare contro il regime di cui lui stesso, in quanto presidente, era uno dei maggiori esponenti?
"Grazie al supporto di alcuni funzionari del fronte riformista - ha aggiunto Tajbakhsh nella sua "confessione" - partiti politici e organizzazioni non governative di provenienza americana trovarono il modo di cominciare la loro attività in Iran".
In altre parole, secondo il teorema accusatorio costruito dalle autorità del regime e caricato sulle spalle di Kian Tajbakhsh, il governo americano e la Cia avrebbero nascosto dietro attività scientifiche neutrali (seminari, conferenze e ricerche) sovvenzionate da prestigiose istituzioni accademiche internazionali (il Centro internazionale Woodrow Wilson e la Carnegie Foundation, tra le altre) i loro piani per destabilizzare la Repubblica Islamica. Il vero e segreto scopo di queste attività di ricerca sarebbe stato "perturbare l'ordine pubblico e seminare il caos e la paura nella società" (sono sempre parole della "confessione" estorta a Tajbakhsh) con l'obiettivo ultimo di rovesciare il sistema.
E', se non altro, un'ennesima prova di quale considerazione abbiano le autorità della Repubblica Islamica per i liberi studi, per la libera ricerca, per la cultura in genere: servono se sono organici al regime. Le parole recentemente rivolte a studiosi e poeti iraniani dal leader supremo Khamenei non lasciano dubbi: "Artisti e intellettuali sono parte del grande movimento della Rivoluzione e sono obbligati ad esprimere la loro comprensione della Verità" (fonte agenzia ILNA).


Aggiornamento del 30 agosto 2009

Subito dopo l'udienza del 25 agosto, la famiglia di Kian Tabakhsh ha nuovamente e con forza ribadito l'assoluta estraneità del loro caro alle accuse che gli vengono mosse: "Kian non è membro di alcun movimento iraniano riformista e non ha avuto alcun coinvolgimento in qualsiasi manifestazione o protesta pre o post-elettorale".
Il 27 agosto il portavoce del Dipartimento di Stato Ian Kelly è tornato a chiedere la sua liberazione (come già fatto il 15 agosto dal Segretario di Stato Hillary Clinton): "Crediamo che le accuse che gli sono mosse non abbiano fondamento. E, naturalmente, abbiamo ripetutamente richiesto il suo rilascio".




Prigionieri politici in Iran 13: Mohammad Maleki
Prigionieri politici in Iran 12: Ahmad Zeydabadi
Prigionieri politici in Iran 11: Saeed Laylaz
Prigionieri politici in Iran 10: Isa Saharkhiz
Prigionieri politici in Iran 8: Mahsa Amrabadi e Masoud Bastani
Prigionieri politici in Iran 7: Mohammad Ali Dadkhah
Prigionieri politici in Iran 6: Shiva Nazar Ahari
Prigionieri politici in Iran 5: Saeed Hajjarian
Prigionieri politici in Iran 4: Mitra Farahani
Prigionieri politici in Iran 3: Bijan Khajehpour
Prigionieri politici in Iran 2: Abdolfattah Soltani
Prigionieri politici in Iran 1: Jila Baniyaghoub e Bahaman Ahamadi Amoee

Prigionieri politici in Iran 8: Mahsa Amrabadi e Masoud Bastani




8) Mahsa Amrabadi e Masoud Bastani

moglie e marito, entrambi giornalisti

lei arrestata il 14 giugno 2009 e rilasciata il 24 agosto 2009
lui arrestato il 4 o il 5 luglio 2009

Mahsa Amrabadi lavora per l’Etemad e-Melli, organo di informazione del National Trust Party. Il presidente del NTP è Mehdi Karoubi, uno dei candidati riformisti alle elezioni del 12 giugno. La redazione dell’Etemad e-Melli è stata particolarmente colpita dagli arresti delle ultime settimane: tra gli altri è finito in carcere il redattore capo del giornale, Mohammad Ghouchani.
Mahsa Amrabadi è incinta di sei mesi; nonostante questo è stata arrestata il 14 giugno scorso. Sembra che gli agenti dei servizi segreti che si sono presentati a casa sua cercassero in realtà il marito Masoud Bastani e che, non trovandolo, abbiano prelevato lei. Il primo contatto con la famiglia ha potuto averlo solo due settimane dopo, il 30 giugno, quando le è stato concesso di telefonare ai suoi cari. Non le è stato però permesso di dire loro in quale luogo si trovava.
Il 4 luglio Masoud Bastani ha provato chiedere informazioni sul conto della moglie: avrebbe voluto poterla visitare o per lo meno sapere dove era detenuta. È stato invece arrestato anche lui.
Mahsa Amrabadi è stata inizialmente rinchiusa nel famigerato braccio 209 del carcere di Evin (sezione non ufficiale gestita dai servizi segreti iraniani che lo usano per i prigionieri politici, spesso tenuti in isolamento e torturati), poi è stata trasferita nell’ala pubblica del penitenziario.
Masoud Bastani, dopo varie settimane di silenzio, ha potuto contattare sua madre alla quale ha riferito di trovarsi in isolamento, ma di essere in buone condizioni.
Il 25 luglio, per la prima volta dal giorno dell’arresto di Mahsa, è stato permesso alla coppia di incontrarsi.
La madre di Mahsa ha detto che presenterà una denuncia per violazione dei diritti civili della figlia e del genero. Ha parlato con il procuratore generale di Tehran, Saeed Mortazavi, il quale le avrebbe detto che lo svolgimento delle indagini potrebbe richiedere anche sei mesi di tempo. Gli interrogatori sarebbero ancora in corso, e prima della loro fine nulla di certo verrà detto dalle autorità ai familiari.
Bastani, in passato redattore del settimanale Neday’e Eslahat (La Voce delle Riforme) e del sito Rozoonline.com, nell’estate del 2007 era già stato arrestato e rilasciato, nel 2006 era stato condannato a sei mesi di prigione e sessanta frustate, nel 2005 era stato arrestato per avere scritto sullo sciopero della fame del giornalista dissidente Akbar Ganij. Recentemente è stato redattore del sito politico www.jomhouriyat.com, ora soppresso dalle autorità, e controllato da Mehdi Hashemi-Rafsanjani, figlio dell'ex presidente Rafsanjani.

Su facebook è nato un gruppo intitolato Free Masoud Bastani & Mahsa Amrabadi.


Aggiornamento del 24 agosto

Mahsa Amrabadi è stata rilasciata oggi, dietro pagamento di cauzione (200.000 dollari). Ne dà notizia il sito Mowjcamp.org.
Rimane invece in carcere il marito della Amrabadi, Masoud Bastani, del quale si sa che è detenuto nel braccio speciale (il 209) del carcere di Evin.


Aggiornamento del 26 agosto

Anche per Masoud Bastani è arrivato il momento del processo pubblico, con annessa "confessione" televisiva (foto a sinistra): l'ennesimo scempio di verità e di giustizia di cui le autorità della Repubblica Islamica si sono macchiate. Bastani è stato uno dei principali interpreti della quarta puntata del "processo-farsa", andata in scena a Tehran il 25 agosto. La sua performance si aggiunge alle varie altre di prigionieri costretti con pressioni, minacce e torture a contribuire al teorema confezionato dal grande architetto del processo, il procuratore generale di Tehran Saeed Mortazavi: le proteste contro i risultati elettorali del 12 giugno - secondo l'accusa - non sarebbero frutto di uno spontaneo moto popolare, ma di una rivoluzione "di velluto" (così la chiamano le autorità iraniane) pianificata con cura e da tempo dai nemici occidentali dell'Iran con la collaborazione di politici, giornalisti e vari membri della società civile, i quali avrebbero tramato contro il loro paese mettendo a rischio la sicurezza dell'Iran.
In particolare Bastani - riporta l'agenzia ufficiale IRNA - ha letto in aula una dichiarazione in cui "confessa" quanto segue: la redazione del sito www.jomhouriyat.com era una vera e propria "centrale strategica" in cui, su incoraggiamento di Mehdi Hashemi-Rafsanjani (foto a destra), si progettavano attacchi contro il presidente Ahmadinejad e contro le principali istituzioni della Repubblica Islamica (il Consiglio dei Guardiani, la milizia Basij, la Guardia Rivoluzionaria Islamica, la polizia). Ancor più rilevante: la redazione creava in modo tendenzioso dubbi sui risultati elettorali, presentando a tale scopo sondaggi e statistiche. A tutto questo Masoud Bastani afferma di avere lavorato in collaborazione con il collega Hamzeh Karami, anche lui sotto processo e, come lui, "reo-confesso".


Prigionieri politici in Iran 13: Mohammad Maleki
Prigionieri politici in Iran 12: Ahmad Zeydabadi
Prigionieri politici in Iran 11: Saeed Laylaz
Prigionieri politici in Iran 10: Isa Saharkhiz
Prigionieri politici in Iran 9: Kian Tajbakhsh
Prigionieri politici in Iran 7: Mohammad Ali Dadkhah
Prigionieri politici in Iran 6: Shiva Nazar Ahari
Prigionieri politici in Iran 5: Saeed Hajjarian
Prigionieri politici in Iran 4: Mitra Farahani
Prigionieri politici in Iran 3: Bijan Khajehpour
Prigionieri politici in Iran 2: Abdolfattah Soltani
Prigionieri politici in Iran 1: Jila Baniyaghoub e Bahaman Ahamadi Amoee

giovedì 3 settembre 2009

350mila euro di cauzione richiesti per il rilascio di Shiva Nazar Ahari


Shiva Nazar Ahari, attivista iraniana per i diritti umani, è detenuta nel carcere di Evin da 82 giorni ed è ancora sotto interrogatorio.
Le autorità hanno informato sua madre che il prezzo della cauzione è di 500milioni di toman (oltre 350mila euro). La madre ha obiettato che non può disporre di una somma così ingente. "Allora la lasci stare in prigione", le è stato brutalmente risposto.

domenica 30 agosto 2009

Prigionieri politici in Iran 7: Mohammad Ali Dadkhah



7) Mohammad Ali Dadkhah

arrestato l'8 luglio 2009

Avvocato impegnato nella difesa dei diritti umani, è stato tra i fondatori del Defenders for Human Rights Center (DHRC), di cui è direttore Shirin Ebadi (premio Nobel per la pace nel 2003) e di cui è membro anche Abdolfattah Soltani.
Dal 1997 si è occupato di circa 400 casi di violazioni dei diritti umani: giornalisti accusati di aver scritto contro il regime, dissidenti ritenuti dalle autorità dei sovversivi, studiosi perseguitati perché avrebbero offeso l’Islam, membri della setta Bahai espulsi dall’università a causa del loro credo religioso. Nel 2000 ha assunto con coraggio la difesa di un esponente del Freedom Movement (fuorilegge) davanti alla Corte Rivoluzionaria. Ha alle spalle un passato di continue vessazioni e intimidazioni subite dalle autorità del regime a causa della sua attività.
Nel novembre 2001, nel corso di un processo contro prigionieri politici, durante l’arringa difensiva fu espulso dal presidente della Corte Rivoluzionaria e gli venne così impedito di svolgere il suo ruolo per il resto del dibattimento. In seguito a quei fatti venne lui stesso processato dalla corte di Tehran con l’accusa di diffamazione e falsa testimonianza.
Il 20 maggio 2002 fu condannato a cinque mesi di carcere e a dieci anni di allontanamento dall’esercizio della professione.
Il 20 gennaio 2003 fu arrestato e trasferito nel carcere di Evin contemporaneamente al collega Abdolfattah Soltani. Gli è stato più volte impedito di lasciare il paese.
Dadkhah ha tra l’altro difeso Esha Mosheni, giovane cittadina americana con doppio passaporto (iraniano-statunitense), arrestata nel 2008 per una banale infrazione stradale e detenuta nel carcere di Evin, poi rilasciata dietro pagamento di cauzione, ma con il divieto di abbandonare l’Iran (dove nel maggio scorso risultava trovarsi ancora). È stato anche il difensore di Omid Reza Mir Sayafi, blogger iraniano condannato a 30 mesi prigione e morto in carcere.
Mohammad Ali Dadkhah è stato arrestato l’8 luglio, alle 16 (ora di Tehran), nel suo ufficio, da agenti non identificati. Insieme all’avvocato Dadkhah sono state arrestate quattro persone (poi rilasciate) che si trovavano in quel momento al lavoro con lui nello stesso ufficio: la figlia Malihe Dadkhah, Sara Sabaghian, Bahareh Dowaloo e Amir Raiisian. Un loro collega ha affermato che l’arresto è avvenuto mentre l’avvocato Dadkhah e i suoi collaboratori stavano discutendo di una circolare del regime che mirava a limitare l'indipendenza dell'avvocatura. Lo studio legale è stato poi chiuso e sigillato con metodi simil a quelli usati nel dicembre 2008 per la chiusura del DHRC. L’avvocato Dadkhah aveva assunto la difesa di molti prigionieri arrestati nel corso delle manifestazioni delle ultime settimane.
Si è appreso intanto che la motivazione formale con cui l’avvocato Dadkhah è tuttora detenuto è l'accusa di “possesso illegale di armi da fuoco e di droga”.


Aggiornamento del 5 agosto 2009

Dopo quasi un mese di detenzione, l'avvocato Mohammad Ali Dadkhah è stato trasferito dal reparto speciale del carcere di Evin a quello riservato ai detenuti comuni. Il suo mandato d'arresto è stato prolungato su richiesta del procuratore del Tribunale Rivoluzionario.


Aggiornamento del 18 agosto 2009

Nei giorni scorsi Amir Raiisian, avvocato di Dadkhah, ha potuto incontrare a Evin il suo assistito. Ha poi rilasciato un'intervista a Harana News in cui ha detto di aver trovato Dadkhah in buone condizioni e ha specificato che è detenuto nel braccio 3, cella 8 di Evin. Le accuse mosse a suo carico sono attentato alla sicurezza nazionale e possesso di armi e droga. Raiisian ha anche spiegato che una capziosa intepretazione della legge iraniana da parte delle autorità fa sì che, nella fase istruttoria ancora in corso, è consentito all'imputato di nominare un avvocato ma non a questi di assisterlo. Perciò la presenza di un legale agli interrogatori non è affatto garantita.
Raiisian ha poi ricordato che nei prossimi giorni l'avvocato Dadkhah avrebbe dovuto patrocinare due cause di notevole importanza, una contro il giornale conservatore Kayhan, vicino al regime, l'altra contro il presidente dell'Ufficio del patrimonio culturale, accusato di incapacità e negligenza nello svolgimento del suo incarico.
"Ci aspettiamo - ha concluso Raiisian - che la comunità degli avvocati iraniani abbia una particolare sensibilità per questo caso. Dadkhah è uno degli avvocati difensori più brillanti ed esperti del Paese, circa 120 avvocati in Iran hanno svolto con lui il loro praticantato. Negli ultimi anni, inoltre, Dadkhah ha assunto la difesa di ben quattromila casi senza pretendere onorario".


Aggiornamento del 19 agosto 2009

Notizie molto più inquietanti di quelle fornite dall'avvocato Raiisian sono trapelate ieri da una fonte anonima raccolta dal sito mowjcamp.com (Onda verde di libertà). Secondo queste notizie, l'avvocato Dadkhah sarebbe sottoposto a maltrattamenti e a pesanti torture fisiche e psicologiche. In particolare Dadkhah sarebbe stato brutalmente percosso e fatto ripetutamente rotolare lungo una scala di tre piani; gli sarebbe stato inoltre fatto credere che la figlia (già arrestata l'8 luglio insieme a lui, ma subito rilasciata) è stata di nuovo arrestata. Tutto questo con lo scopo di spingerlo a confessare che lui e gli altri membri del Defenders for Human Rights Center sono traditori e cospiratori al servizio dei nemici stranieri dell'Iran.


Aggiornamento del 13 settembre 2009

L'avvocato Mohammad Ali Dadkhah, è stato rilasciato oggi dopo 68 giorni di carcere. E' stata pagata per lui una cauzione di 5 milardi di rials iraniani, pari a 500mila dollari statunitensi. L'entità della cauzione, stando alle notizie ufficiali era stata concordata mercoledì scorso in ribunale dai due legali di Dadkhah, Alizadeh Tabatabai e Abdolfattah Soltani (quest'ultimo a sua volta è stato da poco rilasciato su cauzione dopo oltre due mesi di detenzione).


Prigionieri politici in Iran 13: Mohammad Maleki
Prigionieri politici in Iran 12: Ahmad Zeydabadi
Prigionieri politici in Iran 11: Saeed Laylaz
Prigionieri politici in Iran 10: Isa Saharkhiz
Prigionieri politici in Iran 9: Kian Tajbakhsh
Prigionieri politici in Iran 8: Mahsa Amrabadi e Masoud Bastani
Prigionieri politici in Iran 6: Shiva Nazar Ahari
Prigionieri politici in Iran 5: Saeed Hajjarian
Prigionieri politici in Iran 4: Mitra Farahani
Prigionieri politici in Iran 3: Bijan Khajehpour
Prigionieri politici in Iran 2: Abdolfattah Soltani
Prigionieri politici in Iran 1: Jila Baniyaghoub e Bahaman Ahamadi Amoee

Human Rights Watch scrive a Sadegh Larijani, capo della magistratura iraniana


La lettera inviata il 28 agosto scorso da Human Rights Watch al nuovo capo della magistratura iraniana, Sadegh Larijani, a giudizio di chi scrive rappresenta, a due mesi e mezzo di distanza dalle elezioni presidenziali del 12 giugno (con il conseguente scatenarsi della protesta popolare e della violenta repressione attuata dal regime), una importante piattaforma da cui partire per ripristinare la legalità e il rispetto dei fondamentali diritti dell'uomo in Iran. E' per questo che si è pensato di renderla di più semplice lettura traducendola in italiano. (Cliccare qui per leggere l'originale in lingua inglese).

HRW sottolinea nella lettera la sconvolgente situazione carceraria esistente in Iran (sia prima che dopo le elezioni) e l'assoluta mancanza di garanzie minime per gli imputati:
- l'assenza di accuse formali chiare che giustifichino un arresto;
- l'abitudine di arrestare i cittadini per motivi di coscienza e di opinione, e quindi la non rilevanza penale di molti dei reati contestati;
- l'impossibilità per i reclusi di incontrare avvocati e parenti in carcere;
- i frequenti casi di tortura e maltrattamenti in prigione (talvolta conclusisi con la morte del detenuto);
- l'esistenza di centri di detenzione segreti e illegali gestiti da organi istituzionali e non;
- l'impossibilità per gli imputati di essere sottoposti a giudizio davanti a una corte che rispetti gli standard internazionali del "giusto processo" (i processi farsa di massa in corso a Tehran ne sono l'ultimo esempio).

HRW chiede a Sadegh Larijani di indagare su queste ripetute violazioni e abusi, così come sulla violenta repressione messa in atto dalle autorità contro i dimostranti pacifici che protestavano per i risultati elettorali; HRW suggerisce all'attenzione di Larijani i nomi di quattro possibili responsabili principali per quanto che è successo nelle strade e nelle prigioni dell'Iran in questi mesi:
- Hussein Taeb, capo delle milizie Basij
- il Generale Esmaeel Ahamadi Moghaddam, capo della Polizia
- Hojatoleslam Abdol-Hussein Ramazani, capo dei servizi segreti della Guardia Rivoluzionaria Islamica,
- Saeed Mortazavi, procuratore generale di Tehran.



(Nelle immagini, dall'alto in basso: Sadegh Larijiani, Hussein Taeb, Esmaeel Ahamadi Moghaddam, Saeed Mortazavi)



28 agosto 2009


A Sua Eccellenza l'Ayatollah Sadegh Ardishir Larijani

Capo della Magistratura

Ministero della Giustizia

Tehran, Repubblica Islamica dell'Iran


Vostra Eccellenza,

Scriviamo per esprimere la nostra profonda preoccupazione a proposito delle gravi e diffuse violazioni dei diritti umani seguite alle elezioni presidenziali del 12 giugno. Human Rights Watch ha speranza che nella sua nuova posizione di Capo della Magistratura lei voglia in modo rapido e deciso assicurare la fine di questi abusi e identificare e perseguire coloro che ne sono stati responsabili.

La esortiamo anche a condurre indagini imparziali su due casi precedenti in cui due persone sono morte in stato di detenzione, apparentemente dopo essere state sottoposte a tortura e a maltrattamenti, e a porre termine alla pratica di recludere i detenuti in luoghi di prigionia non autorizzati e illegali.

Human Rights Watch ha espresso il suo allarme per la repressione contro manifestanti pacifici, dissidenti politici, difensori dei diritti umani e giornalisti. Siamo particolarmente preoccupati per le aggressioni delle forze dell'ordine che hanno ferito centinaia di persone e causato la morte di almeno 30. Alcuni testimoni hanno riferito a Human Rights Watch i dettagli di attacchi non provocati della polizia e delle forze Basij contro dimostranti per lo più pacifici, e di irruzioni in notturne nelle case, nelle zone residenziali di Tehran. Siamo anche a conoscenza di resoconti di violenze analoghe contro dimostranti in altre città.

Il portavoce della Magistratura, Alireza Jamshidi, ha ammesso l'11 Agosto che le forze dell'ordine hanno arrestato circa 4000 persone nel periodo post-elettorale. Human Rights Watch è particolarmente preoccupata per i detenuti che il governo continua a tenere sotto custodia senza formulare contro di loro accuse formali o senza permettere loro l'accesso agli avvocati difensori. Recentemente la Magistratura ha organizzato varie sessioni di un processo di massa nel corso del quale più di 100 individui, tra cui importanti politici riformisti, sono stati messi di fronte alla non meglio definita accusa di "cospirazione". Il governo ha anche reso pubbliche le presunte confessioni di taluni di questi individui, tra cui l'ex vice-presidente Mohammad Ali-Abtahi, confessioni in cui c'è una forte evidenza di coercizione. Il governo continua a negare il diritto dei detenuti ad essere rappresentati da avvocati di loro scelta e ad essere sottoposti a processi liberi e giusti.

Human Rights Watch ha anche raccolto testimonianze da detenuti rilasciati e da famiglie di persone che sono tuttora detenute. Esse raccontano di torture e di trattamenti inumani. Ex detenuti hanno riferito a Human Rights Watch che le autorità li percuotevano e li minacciavano di prolungare la loro detenzione se non avessero collaborato con coloro che li interrogavano, facendo dichiarazioni che coinvolgessero loro stessi o altri in un complotto detto "rivoluzione di velluto" e in altre accuse di carattere politico che non implicavano alcun reato penale. Stando a quanto ci hanno detto coloro con i quali abbiamo parlato, gli inquirenti di solito interrogavano i detenuti sulle loro vite private, incluse le loro relazioni sessuali, e li minacciavano di rendere pubblici questi dettagli. Familiari di detenuti hanno detto a Human Rights Watch che le autorità hanno avvisato anche loro che sarebbero stati a loro volta arrestati se avessero parlato in pubblico delle condizioni di detenzione dei loro cari.

Human Rights Watch fa appello a Sua Eccellenza perché presti immediatamente la sua attenzione alla serie di violazioni dei diritti umani legate ai fermenti post-elettorali, così come a un numero di casi in sospeso precedenti alle elezioni.

Nello specifico, la esortiamo a intraprendere i seguenti passi:

* Risolvere immediatamente i casi di dozzine di soggetti che rimangono in detenzione in regime di carcere duro senza accuse formali o senza accesso ai loro avvocati. Molti di questi detenuti si trovano in cella di isolamento da più di due mesi. La Magistratura dovrebbe o rilasciarli o accusarli di un reato penale riconoscibile. Per coloro che detiene e accusa, essa dovrebbe autorizzare immediato accesso ad avvocati e familiari e portarli immediatamente davanti a un giudice indipendente dotato della facoltà di riesaminare la legalità della loro detenzione e di ordinare il loro rilascio. Questi imputati dovrebbero essere rapidamente processati davanti a un tribunale le cui procedure corrispondano agli standard internazionali del giusto processo.
* La Magistratura dovrebbe indagare tutti i funzionari governativi ritenuti essere i presunti responsabili delle torture e dei maltrattamenti dei detenuti nelle carceri, tra cui Kahrizak e Evin, così come nei centri di detenzione dei Basij e della polizia, e prendere provvedimenti disciplinari e giudiziari contro quelli di cui sia stata accertata la responsabilità di avere ordinato e messo in pratica gravi abusi.
* Rilasciare immediatamente il blogger iraniano-canadese Hossein Derakhshan oppure accusarlo di un reato penale riconoscibile e processarlo davanti a un tribunale le cui procedure corrispondano agli standard internazionali del giusto processo. Derakhshan è stato tenuto in detenzione, per lo più senza accesso alla famiglia o all'avvocato difensore, dall'Ottobre 2008. Un detenuto recentemente rilasciato dal carcere di Evin ha riferito a Human Rights Watch che i servizi segreti del Corpo della Guardia Rivoluzionaria Islamica lo tengono in cella di isolamento in una sezione del carcere che è sotto il loro controllo. Abbiamo ragione di credere che egli sia la presunta "spia" la cui "confessione" ha coinvolto importanti riformisti e attivisti arrestati a partire dalle elezioni presidenziali per presunte attività legate alla "rivoluzione di velluto".
* Istituire una commissione di inchiesta indipendente e imparziale per identificare coloro che hanno ordinato la repressione dei dimostranti nel periodo post-elettorale e gli abusi sui detenuti. Nello specifico, la commissione dovrebbe indagare il ruolo di Hussein Taeb, capo delle Forze di Resistenza Basij, del Generale Esmaeel Ahamadi Moghaddam, capo della Polizia, di Hojatoleslam Abdol-Hussein Ramazani, capo dei servizi segreti del Corpo della Guardia Rivoluzionaria Islamica, e di Saeed Mortazavi, Procuratore Generale di Tehran.

Eccellenza, le nostre ricerche indicano che altri organi, ufficiali e semi-ufficiali, tra cui il Ministero della Sicurezza, la polizia e la Guardia Rivoluzionaria Islamica, gestiscono siti segreti e non autorizzati in cui recludono e interrogano persone arrestate con accuse motivate politicamente. Facciamo appello a lei, alla luce dell'autorità legale che la Magistratura ha sui centri di detenzione della Repubblica Islamica, perché indaghi su queste richieste e perché renda pubblico l'esito dell'indagine, perché prenda immediati provvedimenti per porre termine a questa pratica, e perché faccia in modo che i responsabili ne rendando conto.

Eccellenza, la esortiamo anche a prestare rapidamente attenzione alle gravi violazioni dei diritti umani commesse prima delle recenti elezioni. In particolare richiediamo che il suo ufficio esamini due casi eccezionali di morte in detenzione -- la morte in carcere nel 2003 della foto-giornalista iraniano-canadese Zahra Kazemi, e la morte in carcere nel 2007 di Zahra Baniyaghoub, una ventisettenne studentessa in medicina. I casi di queste due donne spiccano a causa della diffusa mancanza di fiducia nelle inchieste ufficiali sulle loro morti. Nel caso di Zahra Kazemi, per quanto una commissione parlamentare d'inchiesta abbia dato la responsabilità diretta della sua morte ad agenti della polizia giudiziaria, dipendente dalla Magistratura, il solo ad essere perseguito in relazione a tale morte è stato un funzionario di basso rango del Ministero della Sicurezza, il quale è stato peraltro assolto. Nel caso di Zahra Baniyaghoub, la sua famiglia, citando segni di maltrattamenti sul suo corpo, ha duramente contestato il verdetto ufficiale di suicidio.

La esortiamo anche a garantire il rilascio dal carcere di Silva Harotonian, Kamyar Alaei e Arash Alaei. I fratelli Alaei sono medici noti per il loro lavoro nel campo del virus HIV/AIDS. Harotonian era un impiegato dell'International Research & Exchange Board (IREX), un'organizzazione attiva per lo sviluppo della società civile. Tutti e tre vennero arrestati con l'accusa di "cooperazione con gli Stati Uniti", e questo apparentemente solo sulla base delle loro relazioni internazionali.

Infine, la esortiamo a garantire il rilascio di sette leader della comunità Baha'i che sono detenuti sin dal Maggio 2008 con l'accusa di "offendere la santità della religione" e di fare propaganda contro la Repubblica Islamica. Questi sette uomini e donne dovrebbero, come minimo, essere portati davanti a un giudice che esaminasse la legalità e la necessità della loro detenzione, e dovrebbe essere data loro la possibilità di rispondere delle accuse mosse a loro carico di fronte a un tribunale le cui procedure corrispondano agli standard internazionali del giusto processo.

La ringraziamo per la sua immediata attenzione a tali importanti questioni.

Sinceramente suo,

Joe Stork

Vice Direttore

divisione Medio Oriente e Nord Africa