sabato 19 settembre 2009

Prigionieri politici in Iran 12: Ahmad Zeydabadi



12: Ahmad Zeydabadi

arrestato il 13 giugno 2009

Giornalista, laureato all’Università di Tehran in relazioni internazionali, specialista di questioni medio-orientali, Zeydabadi scrive per il sito Roozonline e per la sezione il lingua farsi della BBC, BBC Persian.
Dal gennaio 2008 è presidente (con mandato biennale) dell’associazione Advare Tahkim Vahdat, la più importante organizzazione iraniana di ex-studenti e studenti, nata nel 1979 come associazione islamica conservatrice contrapposta ai gruppi studenteschi laici e progressisti, ma negli anni Novanta evolutasi sino a diventare una delle più note associazioni riformiste e democratiche dell’Iran, molto attiva nella difesa dei diritti umani. Da allora spesso i suoi membri e i suoi leader hanno subito provvedimenti restrittivi della libertà personale.
Da molti anni le opinioni politiche riformiste di Zeydabadi e la sua opposizione al regime di Ahmadinejad e alle posizioni del leader supremo Khamenei sono note nel paese.

PRECEDENTI

Zeydabadi ha già trascorso lunghi periodi nel carcere di Evin. Fu arrestato il 7 agosto 2000 da una dozzina di agenti in borghese presentatisi a casa sua. L’arresto era legato agli articoli da lui scritti nel corso del 1999 per giornali via via chiusi dalle autorità. In particolare Zeydabadi scriveva allora per Hamshahri (Il cittadino). La moglie disse che il procuratore Saeed Mortazavi aveva motivato il provvedimento con il rifiuto di Zeydabadi di presentarsi in tribunale per rispondere alla corte. Sta di fatto che questi venne rinchiuso in cella di isolamento nel braccio 240 di Evin per due mesi, per poi essere trasferito il 12 ottobre 2000 nella sezione Qarantina del braccio 3, di solito riservata ai detenuti comuni (ladri e spacciatori) e inusuale per un giornalista, poi nella cosiddetta sezione Amuzeshgah (“centro di riabilitazione”), infine nella sezione 5. Durante la detenzione, per 12 giorni rimase in sciopero della fame in segno di protesta contro le condizioni carcerarie. Le accuse a suo carico furono rese note solo in un’udienza preliminare del 21 febbraio 2001 (sei mesi e mezzo dopo l’arresto): offesa e diffamazione delle autorità, diffusione di menzogne, disturbo della pubblica opinione, attentato alla sicurezza nazionale (fonte: Amnesty International). E inoltre: attività sovversive, blasfemia, propaganda anti-islamica, offese contro il leader supremo Khamenei e contro il suo predecessore Khomeini (fonte: Reporters Sans Frontières). Era quello il periodo in cui il regime, dopo alcuni di anni di relativa libertà, e per volontà del leader supremo Khamenei, aveva sferrato un pesante attacco alla libertà di espressione e di informazione. A partire dal giornale Salam, chiuso dalle autorità nel luglio 1999 suscitando reazioni e proteste, molti altri organi d’informazione vennero bloccati o chiusi (addirittura 18 nel solo mese di aprile 2000) e moltissimi giornalisti arrestati.
Ahmad Zeydabadi venne rilasciato il 28 febbraio del 2001 dietro pagamento di cauzione di 75mila dollari; ma non trascorsero due settimane e fu riarrestato (l’11 marzo 2001) insieme ad alcune decine di membri e sostenitori dell’associazione Iran Freedom Movement e subito nuovamente rilasciato (il 12 marzo).
Uno speciale tribunale amministrativo presieduto da Saeed Mortazavi lo condannò a 23 mesi di prigione e a 5 anni di sospensione dei diritti civili. La Corte d’Appello di Tehran ridusse la pena a 13 mesi. Avendone scontati già sette di custodia cautelare tra il 2000 e il 2001, Zeydabadi ritornò a Evin il 13 aprile 2003 per scontare i restanti 6 mesi.
In anni più recenti Zeydabadi ha scritto sui temi più scottanti che riguardano l’Iran, spesso intervendendo come opinionista su organi d’informazione stranieri e criticando a più riprese la poltitica economica e quella estera del governo Ahmadinejad (“È pericoloso legare il destino economico di un paese al prezzo fluttuante del petrolio: se il prezzo dovesse improvvisamente scendere il governo non sarebbe più in grado di assicurare al paese le necessarie importazioni.”) . Ha anche scritto articoli in cui con sferzante ironia si è fatto beffe della corsa al nucleare dell’Iran e della convinzione che l’energia nucleare rappresenti la soluzione di tutti i mali del paese. Il 10 aprile 2007, sul sito Adwarnews, Zeydabadi ha poi compiuto un gesto senza precedenti: si è rivolto con una lettera aperta direttamente al leader supremo Khamenei chiedendogli di autorizzare un dibattito aperto su un tema così importante, quello del nucleare, e ponendo una domanda di metodo che va ben oltre il tema contingente: “Fare domande pubbliche al leader supremo, mettere in discussione le sue dichiarazioni e le sue azioni, è vietato in Iran?” Nel corso dell’articolo Zeidabadi prosegue poi argomentando in questo modo: “Dal punto di vista religioso, sappiamo che dal Profeta fino ai suoi seguaci, inclusi il primo Imam degli Sciti (Ali) e altri grandi personalità, non è mai stata intrapresa un’azione forte e violenta contro chi non era d’accordo con loro, e anche quando erano molto irritati essi rispondevano alle parole con le parole e alle idee con le idee, e non mandando gli oppositori in tribunale perché fossero giudicati e puniti. Nel campo della logica e della ragione, tutto concorre ad indicare la necessità di poter criticare i leader delle società e delle nazioni, senza riguardo per il loro rango o per la loro importanza. Allo stesso modo nel campo delle norme: per quanto ne so, è considerato un crimine dalle leggi insultare il leader supremo, ma non criticarne i comunicati, le dichiarazioni o le decisioni.”

L'ARRESTO NEL GIUGNO 2009

Sulla data del recente arresto di Ahmad Zeydabadi, nel giugno 2009 le fonti non concordano: 12 giugno (FIDH), 13 giugno (The Guardian), 14 giugno (Reporters Sans Frontières), addirittura 21 giugno (Roozonline). In ogni caso le notizie fornite sul suo conto dalla moglie a Rooozonline sono molto allarmanti. Zeydabadi è stato tenuto in completo isolamento per 35 giorni, la famiglia non sapeva dove fosse e solo in agosto la moglie ha avuto la possibilità di incontrarlo per la prima volta nel carcere di Evin, accompagnata dall’avvocato. Ella ha raccontato che il marito aveva iniziato come (nel 2000) uno sciopero della fame di protesta e si era diffusa la voce che fosse stato trasferito in ospedale. In realtà le guardie carcerarie lo hanno semplicemente portato da un medico che lo ha convinto a interrompere lo sciopero persuadendolo della sua inutilità perché nessuno, fuori del carcere, ne era a conoscenza. Quel medico è stato l’unico essere umano (secondini a parte) incontrato da Zeydabadi nei primi 35 giorni di detenzione. Senza luce, senza suoni, senza incontrare nessuno per 35 giorni: questa è stata la condizione vissuta da Ahmad Zeydabadi in cella di isolamento. Chiamarla cella, anzi, è inappropriato: egli ha detto alla moglie di essere stato rinchiuso in una sorta di container (lungo un metro e mezzo) che sembrava una tomba. Quando lo ha incontrato, la moglie lo ha trovato molto dimagrito (20 chili circa) e con la barba lunga, ma soprattutto prostrato nello spirito (non smetteva di piangere) e non più completamente in sé. In isolamento Zeydabadi avrebbe cominciato a mostrare attitudini suicide e, non avendo a disposizione nemmeno un oggetto con cui tentare di uccidersi, avrebbe cominciato a urlare. A quel punto in prigione si sono resi conto della sua ormai precaria salute mentale e gli hanno cambiato cella, ma tenendolo sempre in isolamento (nel braccio 2A di Evin) e lasciandolo all’oscuro su tutto ciò che avveniva per le strade di Tehran e dell’Iran: gli è stato detto che le proteste erano terminate e che quasi tutti i prigionieri erano stati liberati.
Coloro che lo interrogano in carcere vogliono costringerlo a rinunciare a qualsiasi attività politica e giornalistica.
Nel frattempo Ahamad Zeydabadi è comparso in due udienze del processo farsa in corso a Tehran: la seconda dell’8 agosto (caratterizzata dalla presenza in aula della studiosa francese Clotilde Reiss) e la quarta del 25 agosto.




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