domenica 30 agosto 2009

Prigionieri politici in Iran 7: Mohammad Ali Dadkhah



7) Mohammad Ali Dadkhah

arrestato l'8 luglio 2009

Avvocato impegnato nella difesa dei diritti umani, è stato tra i fondatori del Defenders for Human Rights Center (DHRC), di cui è direttore Shirin Ebadi (premio Nobel per la pace nel 2003) e di cui è membro anche Abdolfattah Soltani.
Dal 1997 si è occupato di circa 400 casi di violazioni dei diritti umani: giornalisti accusati di aver scritto contro il regime, dissidenti ritenuti dalle autorità dei sovversivi, studiosi perseguitati perché avrebbero offeso l’Islam, membri della setta Bahai espulsi dall’università a causa del loro credo religioso. Nel 2000 ha assunto con coraggio la difesa di un esponente del Freedom Movement (fuorilegge) davanti alla Corte Rivoluzionaria. Ha alle spalle un passato di continue vessazioni e intimidazioni subite dalle autorità del regime a causa della sua attività.
Nel novembre 2001, nel corso di un processo contro prigionieri politici, durante l’arringa difensiva fu espulso dal presidente della Corte Rivoluzionaria e gli venne così impedito di svolgere il suo ruolo per il resto del dibattimento. In seguito a quei fatti venne lui stesso processato dalla corte di Tehran con l’accusa di diffamazione e falsa testimonianza.
Il 20 maggio 2002 fu condannato a cinque mesi di carcere e a dieci anni di allontanamento dall’esercizio della professione.
Il 20 gennaio 2003 fu arrestato e trasferito nel carcere di Evin contemporaneamente al collega Abdolfattah Soltani. Gli è stato più volte impedito di lasciare il paese.
Dadkhah ha tra l’altro difeso Esha Mosheni, giovane cittadina americana con doppio passaporto (iraniano-statunitense), arrestata nel 2008 per una banale infrazione stradale e detenuta nel carcere di Evin, poi rilasciata dietro pagamento di cauzione, ma con il divieto di abbandonare l’Iran (dove nel maggio scorso risultava trovarsi ancora). È stato anche il difensore di Omid Reza Mir Sayafi, blogger iraniano condannato a 30 mesi prigione e morto in carcere.
Mohammad Ali Dadkhah è stato arrestato l’8 luglio, alle 16 (ora di Tehran), nel suo ufficio, da agenti non identificati. Insieme all’avvocato Dadkhah sono state arrestate quattro persone (poi rilasciate) che si trovavano in quel momento al lavoro con lui nello stesso ufficio: la figlia Malihe Dadkhah, Sara Sabaghian, Bahareh Dowaloo e Amir Raiisian. Un loro collega ha affermato che l’arresto è avvenuto mentre l’avvocato Dadkhah e i suoi collaboratori stavano discutendo di una circolare del regime che mirava a limitare l'indipendenza dell'avvocatura. Lo studio legale è stato poi chiuso e sigillato con metodi simil a quelli usati nel dicembre 2008 per la chiusura del DHRC. L’avvocato Dadkhah aveva assunto la difesa di molti prigionieri arrestati nel corso delle manifestazioni delle ultime settimane.
Si è appreso intanto che la motivazione formale con cui l’avvocato Dadkhah è tuttora detenuto è l'accusa di “possesso illegale di armi da fuoco e di droga”.


Aggiornamento del 5 agosto 2009

Dopo quasi un mese di detenzione, l'avvocato Mohammad Ali Dadkhah è stato trasferito dal reparto speciale del carcere di Evin a quello riservato ai detenuti comuni. Il suo mandato d'arresto è stato prolungato su richiesta del procuratore del Tribunale Rivoluzionario.


Aggiornamento del 18 agosto 2009

Nei giorni scorsi Amir Raiisian, avvocato di Dadkhah, ha potuto incontrare a Evin il suo assistito. Ha poi rilasciato un'intervista a Harana News in cui ha detto di aver trovato Dadkhah in buone condizioni e ha specificato che è detenuto nel braccio 3, cella 8 di Evin. Le accuse mosse a suo carico sono attentato alla sicurezza nazionale e possesso di armi e droga. Raiisian ha anche spiegato che una capziosa intepretazione della legge iraniana da parte delle autorità fa sì che, nella fase istruttoria ancora in corso, è consentito all'imputato di nominare un avvocato ma non a questi di assisterlo. Perciò la presenza di un legale agli interrogatori non è affatto garantita.
Raiisian ha poi ricordato che nei prossimi giorni l'avvocato Dadkhah avrebbe dovuto patrocinare due cause di notevole importanza, una contro il giornale conservatore Kayhan, vicino al regime, l'altra contro il presidente dell'Ufficio del patrimonio culturale, accusato di incapacità e negligenza nello svolgimento del suo incarico.
"Ci aspettiamo - ha concluso Raiisian - che la comunità degli avvocati iraniani abbia una particolare sensibilità per questo caso. Dadkhah è uno degli avvocati difensori più brillanti ed esperti del Paese, circa 120 avvocati in Iran hanno svolto con lui il loro praticantato. Negli ultimi anni, inoltre, Dadkhah ha assunto la difesa di ben quattromila casi senza pretendere onorario".


Aggiornamento del 19 agosto 2009

Notizie molto più inquietanti di quelle fornite dall'avvocato Raiisian sono trapelate ieri da una fonte anonima raccolta dal sito mowjcamp.com (Onda verde di libertà). Secondo queste notizie, l'avvocato Dadkhah sarebbe sottoposto a maltrattamenti e a pesanti torture fisiche e psicologiche. In particolare Dadkhah sarebbe stato brutalmente percosso e fatto ripetutamente rotolare lungo una scala di tre piani; gli sarebbe stato inoltre fatto credere che la figlia (già arrestata l'8 luglio insieme a lui, ma subito rilasciata) è stata di nuovo arrestata. Tutto questo con lo scopo di spingerlo a confessare che lui e gli altri membri del Defenders for Human Rights Center sono traditori e cospiratori al servizio dei nemici stranieri dell'Iran.


Aggiornamento del 13 settembre 2009

L'avvocato Mohammad Ali Dadkhah, è stato rilasciato oggi dopo 68 giorni di carcere. E' stata pagata per lui una cauzione di 5 milardi di rials iraniani, pari a 500mila dollari statunitensi. L'entità della cauzione, stando alle notizie ufficiali era stata concordata mercoledì scorso in ribunale dai due legali di Dadkhah, Alizadeh Tabatabai e Abdolfattah Soltani (quest'ultimo a sua volta è stato da poco rilasciato su cauzione dopo oltre due mesi di detenzione).


Prigionieri politici in Iran 13: Mohammad Maleki
Prigionieri politici in Iran 12: Ahmad Zeydabadi
Prigionieri politici in Iran 11: Saeed Laylaz
Prigionieri politici in Iran 10: Isa Saharkhiz
Prigionieri politici in Iran 9: Kian Tajbakhsh
Prigionieri politici in Iran 8: Mahsa Amrabadi e Masoud Bastani
Prigionieri politici in Iran 6: Shiva Nazar Ahari
Prigionieri politici in Iran 5: Saeed Hajjarian
Prigionieri politici in Iran 4: Mitra Farahani
Prigionieri politici in Iran 3: Bijan Khajehpour
Prigionieri politici in Iran 2: Abdolfattah Soltani
Prigionieri politici in Iran 1: Jila Baniyaghoub e Bahaman Ahamadi Amoee

Human Rights Watch scrive a Sadegh Larijani, capo della magistratura iraniana


La lettera inviata il 28 agosto scorso da Human Rights Watch al nuovo capo della magistratura iraniana, Sadegh Larijani, a giudizio di chi scrive rappresenta, a due mesi e mezzo di distanza dalle elezioni presidenziali del 12 giugno (con il conseguente scatenarsi della protesta popolare e della violenta repressione attuata dal regime), una importante piattaforma da cui partire per ripristinare la legalità e il rispetto dei fondamentali diritti dell'uomo in Iran. E' per questo che si è pensato di renderla di più semplice lettura traducendola in italiano. (Cliccare qui per leggere l'originale in lingua inglese).

HRW sottolinea nella lettera la sconvolgente situazione carceraria esistente in Iran (sia prima che dopo le elezioni) e l'assoluta mancanza di garanzie minime per gli imputati:
- l'assenza di accuse formali chiare che giustifichino un arresto;
- l'abitudine di arrestare i cittadini per motivi di coscienza e di opinione, e quindi la non rilevanza penale di molti dei reati contestati;
- l'impossibilità per i reclusi di incontrare avvocati e parenti in carcere;
- i frequenti casi di tortura e maltrattamenti in prigione (talvolta conclusisi con la morte del detenuto);
- l'esistenza di centri di detenzione segreti e illegali gestiti da organi istituzionali e non;
- l'impossibilità per gli imputati di essere sottoposti a giudizio davanti a una corte che rispetti gli standard internazionali del "giusto processo" (i processi farsa di massa in corso a Tehran ne sono l'ultimo esempio).

HRW chiede a Sadegh Larijani di indagare su queste ripetute violazioni e abusi, così come sulla violenta repressione messa in atto dalle autorità contro i dimostranti pacifici che protestavano per i risultati elettorali; HRW suggerisce all'attenzione di Larijani i nomi di quattro possibili responsabili principali per quanto che è successo nelle strade e nelle prigioni dell'Iran in questi mesi:
- Hussein Taeb, capo delle milizie Basij
- il Generale Esmaeel Ahamadi Moghaddam, capo della Polizia
- Hojatoleslam Abdol-Hussein Ramazani, capo dei servizi segreti della Guardia Rivoluzionaria Islamica,
- Saeed Mortazavi, procuratore generale di Tehran.



(Nelle immagini, dall'alto in basso: Sadegh Larijiani, Hussein Taeb, Esmaeel Ahamadi Moghaddam, Saeed Mortazavi)



28 agosto 2009


A Sua Eccellenza l'Ayatollah Sadegh Ardishir Larijani

Capo della Magistratura

Ministero della Giustizia

Tehran, Repubblica Islamica dell'Iran


Vostra Eccellenza,

Scriviamo per esprimere la nostra profonda preoccupazione a proposito delle gravi e diffuse violazioni dei diritti umani seguite alle elezioni presidenziali del 12 giugno. Human Rights Watch ha speranza che nella sua nuova posizione di Capo della Magistratura lei voglia in modo rapido e deciso assicurare la fine di questi abusi e identificare e perseguire coloro che ne sono stati responsabili.

La esortiamo anche a condurre indagini imparziali su due casi precedenti in cui due persone sono morte in stato di detenzione, apparentemente dopo essere state sottoposte a tortura e a maltrattamenti, e a porre termine alla pratica di recludere i detenuti in luoghi di prigionia non autorizzati e illegali.

Human Rights Watch ha espresso il suo allarme per la repressione contro manifestanti pacifici, dissidenti politici, difensori dei diritti umani e giornalisti. Siamo particolarmente preoccupati per le aggressioni delle forze dell'ordine che hanno ferito centinaia di persone e causato la morte di almeno 30. Alcuni testimoni hanno riferito a Human Rights Watch i dettagli di attacchi non provocati della polizia e delle forze Basij contro dimostranti per lo più pacifici, e di irruzioni in notturne nelle case, nelle zone residenziali di Tehran. Siamo anche a conoscenza di resoconti di violenze analoghe contro dimostranti in altre città.

Il portavoce della Magistratura, Alireza Jamshidi, ha ammesso l'11 Agosto che le forze dell'ordine hanno arrestato circa 4000 persone nel periodo post-elettorale. Human Rights Watch è particolarmente preoccupata per i detenuti che il governo continua a tenere sotto custodia senza formulare contro di loro accuse formali o senza permettere loro l'accesso agli avvocati difensori. Recentemente la Magistratura ha organizzato varie sessioni di un processo di massa nel corso del quale più di 100 individui, tra cui importanti politici riformisti, sono stati messi di fronte alla non meglio definita accusa di "cospirazione". Il governo ha anche reso pubbliche le presunte confessioni di taluni di questi individui, tra cui l'ex vice-presidente Mohammad Ali-Abtahi, confessioni in cui c'è una forte evidenza di coercizione. Il governo continua a negare il diritto dei detenuti ad essere rappresentati da avvocati di loro scelta e ad essere sottoposti a processi liberi e giusti.

Human Rights Watch ha anche raccolto testimonianze da detenuti rilasciati e da famiglie di persone che sono tuttora detenute. Esse raccontano di torture e di trattamenti inumani. Ex detenuti hanno riferito a Human Rights Watch che le autorità li percuotevano e li minacciavano di prolungare la loro detenzione se non avessero collaborato con coloro che li interrogavano, facendo dichiarazioni che coinvolgessero loro stessi o altri in un complotto detto "rivoluzione di velluto" e in altre accuse di carattere politico che non implicavano alcun reato penale. Stando a quanto ci hanno detto coloro con i quali abbiamo parlato, gli inquirenti di solito interrogavano i detenuti sulle loro vite private, incluse le loro relazioni sessuali, e li minacciavano di rendere pubblici questi dettagli. Familiari di detenuti hanno detto a Human Rights Watch che le autorità hanno avvisato anche loro che sarebbero stati a loro volta arrestati se avessero parlato in pubblico delle condizioni di detenzione dei loro cari.

Human Rights Watch fa appello a Sua Eccellenza perché presti immediatamente la sua attenzione alla serie di violazioni dei diritti umani legate ai fermenti post-elettorali, così come a un numero di casi in sospeso precedenti alle elezioni.

Nello specifico, la esortiamo a intraprendere i seguenti passi:

* Risolvere immediatamente i casi di dozzine di soggetti che rimangono in detenzione in regime di carcere duro senza accuse formali o senza accesso ai loro avvocati. Molti di questi detenuti si trovano in cella di isolamento da più di due mesi. La Magistratura dovrebbe o rilasciarli o accusarli di un reato penale riconoscibile. Per coloro che detiene e accusa, essa dovrebbe autorizzare immediato accesso ad avvocati e familiari e portarli immediatamente davanti a un giudice indipendente dotato della facoltà di riesaminare la legalità della loro detenzione e di ordinare il loro rilascio. Questi imputati dovrebbero essere rapidamente processati davanti a un tribunale le cui procedure corrispondano agli standard internazionali del giusto processo.
* La Magistratura dovrebbe indagare tutti i funzionari governativi ritenuti essere i presunti responsabili delle torture e dei maltrattamenti dei detenuti nelle carceri, tra cui Kahrizak e Evin, così come nei centri di detenzione dei Basij e della polizia, e prendere provvedimenti disciplinari e giudiziari contro quelli di cui sia stata accertata la responsabilità di avere ordinato e messo in pratica gravi abusi.
* Rilasciare immediatamente il blogger iraniano-canadese Hossein Derakhshan oppure accusarlo di un reato penale riconoscibile e processarlo davanti a un tribunale le cui procedure corrispondano agli standard internazionali del giusto processo. Derakhshan è stato tenuto in detenzione, per lo più senza accesso alla famiglia o all'avvocato difensore, dall'Ottobre 2008. Un detenuto recentemente rilasciato dal carcere di Evin ha riferito a Human Rights Watch che i servizi segreti del Corpo della Guardia Rivoluzionaria Islamica lo tengono in cella di isolamento in una sezione del carcere che è sotto il loro controllo. Abbiamo ragione di credere che egli sia la presunta "spia" la cui "confessione" ha coinvolto importanti riformisti e attivisti arrestati a partire dalle elezioni presidenziali per presunte attività legate alla "rivoluzione di velluto".
* Istituire una commissione di inchiesta indipendente e imparziale per identificare coloro che hanno ordinato la repressione dei dimostranti nel periodo post-elettorale e gli abusi sui detenuti. Nello specifico, la commissione dovrebbe indagare il ruolo di Hussein Taeb, capo delle Forze di Resistenza Basij, del Generale Esmaeel Ahamadi Moghaddam, capo della Polizia, di Hojatoleslam Abdol-Hussein Ramazani, capo dei servizi segreti del Corpo della Guardia Rivoluzionaria Islamica, e di Saeed Mortazavi, Procuratore Generale di Tehran.

Eccellenza, le nostre ricerche indicano che altri organi, ufficiali e semi-ufficiali, tra cui il Ministero della Sicurezza, la polizia e la Guardia Rivoluzionaria Islamica, gestiscono siti segreti e non autorizzati in cui recludono e interrogano persone arrestate con accuse motivate politicamente. Facciamo appello a lei, alla luce dell'autorità legale che la Magistratura ha sui centri di detenzione della Repubblica Islamica, perché indaghi su queste richieste e perché renda pubblico l'esito dell'indagine, perché prenda immediati provvedimenti per porre termine a questa pratica, e perché faccia in modo che i responsabili ne rendando conto.

Eccellenza, la esortiamo anche a prestare rapidamente attenzione alle gravi violazioni dei diritti umani commesse prima delle recenti elezioni. In particolare richiediamo che il suo ufficio esamini due casi eccezionali di morte in detenzione -- la morte in carcere nel 2003 della foto-giornalista iraniano-canadese Zahra Kazemi, e la morte in carcere nel 2007 di Zahra Baniyaghoub, una ventisettenne studentessa in medicina. I casi di queste due donne spiccano a causa della diffusa mancanza di fiducia nelle inchieste ufficiali sulle loro morti. Nel caso di Zahra Kazemi, per quanto una commissione parlamentare d'inchiesta abbia dato la responsabilità diretta della sua morte ad agenti della polizia giudiziaria, dipendente dalla Magistratura, il solo ad essere perseguito in relazione a tale morte è stato un funzionario di basso rango del Ministero della Sicurezza, il quale è stato peraltro assolto. Nel caso di Zahra Baniyaghoub, la sua famiglia, citando segni di maltrattamenti sul suo corpo, ha duramente contestato il verdetto ufficiale di suicidio.

La esortiamo anche a garantire il rilascio dal carcere di Silva Harotonian, Kamyar Alaei e Arash Alaei. I fratelli Alaei sono medici noti per il loro lavoro nel campo del virus HIV/AIDS. Harotonian era un impiegato dell'International Research & Exchange Board (IREX), un'organizzazione attiva per lo sviluppo della società civile. Tutti e tre vennero arrestati con l'accusa di "cooperazione con gli Stati Uniti", e questo apparentemente solo sulla base delle loro relazioni internazionali.

Infine, la esortiamo a garantire il rilascio di sette leader della comunità Baha'i che sono detenuti sin dal Maggio 2008 con l'accusa di "offendere la santità della religione" e di fare propaganda contro la Repubblica Islamica. Questi sette uomini e donne dovrebbero, come minimo, essere portati davanti a un giudice che esaminasse la legalità e la necessità della loro detenzione, e dovrebbe essere data loro la possibilità di rispondere delle accuse mosse a loro carico di fronte a un tribunale le cui procedure corrispondano agli standard internazionali del giusto processo.

La ringraziamo per la sua immediata attenzione a tali importanti questioni.

Sinceramente suo,

Joe Stork

Vice Direttore

divisione Medio Oriente e Nord Africa

venerdì 28 agosto 2009

Prigionieri politici in Iran 6: Shiva Nazar Ahari



6) Shiva Nazar Ahari

arrestata il 14 giugno 2009
rilasciata su cauzione il 24 settembre 2009

Attivista per i diritti umani, blogger e giornalista, membro del Committee of Human Rights Reporters, Shiva Nazar Ahari è anche insegnante di un gruppo di bambini svantaggiati. È stata presidente del Comitato studenti in difesa dei prigionieri politici. Fin da quando era studentessa alla Sadra University, la Nazar Ahari ha svolto, in patria e all’estero, opera di sensibilizzazione sulla situazione dei diritti umani in Iran, sollecitando l’attenzione della comunità internazionale alle ripetute violazioni commesse dal regime. Questa attività l'ha costretta a subire intimidazioni e arresti.
Il 5 dicembre 2004 si recava a una manifestazione studentesca, quando degli agenti fermarono il taxi su cui si trovava e, rifiutandosi di esibire un mandato di arresto, la prelevarono con la forza per condurla all’ufficio investigativo del Ministero dell’informazione, dove fu trattenuta per dodici ore. Gli agenti che la interrogavano le dissero di averla arrestata “per il suo bene”.
Nel 2005 è stata arrestata con altre due donne davanti alla sede delle Nazioni unite di Tehran, con l’accusa di “aver partecipato illegalmente a una manifestazione concepita con lo scopo di minacciare la sicurezza dello stato e di aver creato turbative nell’opinione pubblica rilasciando interviste ai mezzi di informazione”.
Nell’agosto 2007, mentre impazzava la cosiddetta “campagna di moralizzazione” del governo, Shiva Nazar Ahari lanciò un vero e proprio grido di dolore in un’intervista all’Adnkronos International: “Nel corso degli ultimi tre mesi sono state arrestate migliaia di persone, tutte accusate del crimine, non ben definito, di ‘teppismo’; oppure descritte come ‘elementi socialmente pericolosi’. Tutte queste persone rischiano di essere mandate alla forca dopo un processo sommario nel quale non potranno contare su un avvocato in loro difesa. I parenti di questi condannati a morte per crimini così poco chiari – e molti di loro hanno un’età compresa tra i 20 e i 30 anni – vengono informati solo dopo che il loro congiunto è stato impiccato. Molti di questi giovani arrestati negli ultimi tre mesi sono detenuti nel carcere di Kharizak, situato nei dintorni di Tehran. Fino a 40 prigionieri vengono ammassati in celle di 15 metri quadri, dove ricevono un solo pasto al giorno e spesso vengono frustati. Sei di loro, di età compresa tra i 20 e i 25 anni, sono morti in seguito a infezioni causate dalle frustate.”
Secondo alcune fonti la Nazar Ahari è stata arrestata il 14 giugno 2009 in casa sua. Secondo altre l’arresto è avvenuto alle 13.30 (ora iraniana) nel suo ufficio, ma già la notte precedente agenti dei servizi segreti l’avrebbero cercata in casa e, non avendola trovata, avrebbero perquisito l’abitazione prelevando numerosi suoi oggetti personali.
Due settimane dopo l’arresto, la madre, Shahrzad Kariman, intervistata da Radio Farda, ha detto: “Sono andata al Ministero per la sicurezza, alla Corte Rivoluzionaria, al carcere di Evin, ma nessuno ha saputo dirmi nulla di lei”. Le ultime notizie, dopo oltre un mese di detenzione, sono che a Shiva è stato permesso di chiamare la famiglia due volte. Alcuni giorni fa la madre le ha scritto una lettera aperta, pubblicata sul blog delle “Madri di Laleh”. Si è anche saputo che è rinchiusa nel carcere di Evin e che condivide la cella con tre compagne, una delle quali è la giornalista e attivista per i diritti delle donne Jila Baniyaghoub. Shiva Nazar Ahari è difesa dall’avvocato Shadi Sadr, a sua volta arrestata il 17 luglio mentre si recava alla preghiera del venerdì. A Shadi Sadr, prima di quel giorno, non era ancora stato consentito di accedere a Evin per parlare con la sua cliente.


Aggiornamento del 19 agosto 2009

La notizia è di ieri: Shiva Nazar Ahari ha potuto finalmente incontrare brevemente la madre, Shahrzad Kariman, nel carcere di Evin, per la prima volta dall'inizio della sua detenzione, che dura da ormai oltre due mesi. Shahrzad Kariman aveva ricevuto un'inattesa telefonata in cui la figlia le annunciava la possibilità dell'incontro e si è quindi recata a Evin. Ha raccontato di aver trovato la figlia in buone condizioni di salute e di morale. Shiva Nazar Ahari ha anche confermato alla madre di essere tuttora sotto interrogatorio.


Aggiornamento del 3 settembre 2009

Shiva Nazar Ahari è detenuta nel carcere di Evin da 82 giorni ed è ancora sotto interrogatorio.
Le autorità hanno informato sua madre che il prezzo della cauzione è di 500milioni di toman (oltre 350mila euro). La madre ha obiettato che non può disporre di una somma così ingente. "Allora la lasci stare in prigione", le è stato brutalmente risposto.



Aggiornamento del 17 settembre 2009

Mohamad Nazar Ahari, il padre di Shiva, ha inviato una lettera al capo della magistratura Sadegh Larijiani.
Nella lettera egli ricorda i principali elementi del caso giudiziario riguardante la figlia: il modo in cui è stata arrestata il 14 giugno scorso (sul posto di lavoro, dopo un'irruzione notturna in casa, dove non era stata trovata); la sua attività in difesa dei diritti umani come redattrice del sito Committee of Human Rights Defenders; la sua attività di volontariato con bambini in difficoltà e privi di di istruzione per l'associazione Khaneh Koodak Shush; la sua laurea in ingegneria e l'impossibilità per lei di proseguire gli studi a causa del bando posto dalle autorità nei suoi confronti (e nei confronti di molti altri studenti); l'esorbitante ammontare della somma fissata come cauzione per il suo rilascio (500mila dollari, una somma talmente elevata, sottolinea il padre "da creare negli avvocati il dubbio che essa sia stata fissata con la piena consapevolezza della nostra impossibilità di pagarla, per legittimare in tal modo il prolungamento della detenzione di mia figlia").
La lettera si conclude così:
"Onorevole capo della magistratura,
l'amore e il profondo rispetto di mia figlia per il genere umano sono il suo solo crimine. La prigione è fatta per tenere in disparte coloro che mettono in pericolo la società, non mia figlia che ha dedicato la sua intera vita, in età adulta, al servizio della comunità. Poiché finora nessun funzionario responsabile o nessun altro organismo ha fornito alcuna ragione o spiegazione per la diffiicile situazione in cui mia figlia si trova, e poiché il rispetto dei diritti dei cittadini e della giustizia islamica sono tra i suoi obiettivi dichiarati in questa nuova era [Sadegh Larijani è diventato capo della magistratura lo scorso 15 agosto, n.d.t.], le chiedo umilmente di riesaminare il fascicolo relativo a mia figlia, per procedere a una riduzione della somma stabilita come cauzione e agevolare il suo rilascio.
Rispettosamente

Mohamad Nazar Ahari".


Aggiornamento del 24 settembre 2009

Shiva Nazar Ahari è stata rilasciata oggi, dopo 103 giorni di prigionia.
E' stata pagata per lei una cauzione di 200mila dollari. La cifra richiesta originariamente era stata di 500mila dollari, fuori della portata della famiglia Nazar Ahari. In seguito alle ripetute richieste dei genitori le autorità hanno abbassato le loro pretese.
La notizia dell'imminente rilascio si era diffusa nel corso della giornata e un piccolo gruppo di amici e attivisti ha atteso per ore che le porte di Evin si schiudessero. Un'attesa che è stata infine premiata: Shiva Nazar Ahari è di nuovo libera.
(sopra la prima foto scattata a Shiva Nazar Ahari, appena uscita dal carcere di Evin)


Prigionieri politici in Iran 13: Mohammad Maleki
Prigionieri politici in Iran 12: Ahmad Zeydabadi
Prigionieri politici in Iran 11: Saeed Laylaz
Prigionieri politici in Iran 10: Isa Saharkhiz
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Prigionieri politici in Iran 5: Saeed Hajjarian
Prigionieri politici in Iran 4: Mitra Farahani
Prigionieri politici in Iran 3: Bijan Khajehpour
Prigionieri politici in Iran 2: Abdolfattah Soltani
Prigionieri politici in Iran 1: Jila Baniyaghoub e Bahaman Ahamadi Amoee

giovedì 27 agosto 2009

Prigionieri politici in Iran 5: Saeed Hajjarian

5) Saeed Hajjarian

arrestato il 16 giugno 2009

Giornalista, intellettuale, politico riformista tra i più noti e autorevoli nel suo paese, Saeed Hajjarian è stato, da giovane studente, un rivoluzionario della prima ora (era il 1979).
È poi diventato consigliere politico del presidente Khatami, eletto nel 1997, e ha fatto parte del consiglio comunale di Tehran. Ha fondato il giornale Sobh-e Emrooz (This Morning), sulle cui pagine ha difeso i tentativi di riforme di Khatami e ospitato numerosi articoli in cui Akbar Ganij e Emadeddin Baghi hanno più volte denunciato gli abusi e le efferatezze del Ministero della Sicurezza contro gli oppositori del regime e gli intellettuali dissidenti, svelando dettagli e colpevoli di una catena di assassini politici avvenuti in Iran negli anni Novanta.
Nel 2000, nel corso di un’ondata di reazione dell’ala conservatrice del regime, in pochi giorni vennero chiusi sedici giornali riformisti, tra cui Sobh-e Emrooz. Nel marzo dello stesso anno, Saeed Hajjarian subì un grave attentato (a un altro era già sfuggito nel 1981): Saeed Asgar, 20 anni, un membro della milizia basiji, gli sparò in faccia e sul collo da una motocicletta. Altre sei persone, oltre Asgar, furono arrestate e condannate per aver organizzato l’attentato, ma non hanno trascorso in carcere che brevi periodi di detenzione. Asgar confessò che la decisione di eliminare Hajjarian era stata presa perché, in lui, era stato individuato il principale artefice del movimento riformista.
In quella circostanza Hajjarian sfuggì miracolosamente alla morte, ma le ferite riportate lo hanno lasciato in coma per mesi e reso invalido in modo permanente. Sono stati necessari anni di riabilitazione per renderlo di nuovo capace di parlare, benché a fatica, e di camminare con l’aiuto di un sostegno.
Oggi Saeed Hajjarian è un uomo in condizioni di salute molto precarie, bisognoso di cure mediche quotidiane e di assistenza continua, come hanno ricordato nelle scorse settimane varie organizzazioni umanitarie. Nonostante questo, egli è stato uno dei primi politici riformisti ad essere arrestato nei giorni seguenti alle elezioni del 12 giugno ed è stato rinchiuso nel carcere di Evin.
Il procuratore di Tehran Saeed Mortazavi ha detto alla moglie di Hajjarian, la dottoressa Vajiheh Marsousi, che la colpa di suo marito è quella di essere un membro dell’Islamic Iran Participation Front, il principale partito riformista iraniano. Tuttavia va considerato da un lato che le condizioni di salute di Hajjarian non sono ormai tali da consentirgli una vera e attiva partecipazione alla vita politica, dall’altro che l’IIPF è un partito legalmente riconosciuto e quindi non si vede quale crimine possa esserci nel farne parte.
Dal giorno dell’arresto, le notizie sulla salute di Saeed Hajjarian sono stare varie, e quasi sempre estremamente preoccupanti. Si era persino diffusa la voce, poi smentita, che fosse stato torturato e ucciso; sì è poi detto che è stato trasferito in ospedale in seguito a un attacco di cuore o a una crisi nervosa; che si troverebbe in coma; che preferirebbe restare in carcere perché le cure che vi riceve sono migliori di quelle ospedaliere. Alcuni giorni fa la moglie, che è riuscita a incontrarlo tre volte dopo l’arresto, ha fornito notizie più rassicuranti affermando che il marito è in discrete condizioni fisiche, benché sofferente di problemi di pressione che mettono a rischio la sua tenuta cardiaca, e benché il suo morale sia assai provato.
Nel frattempo la stessa Vajiheh Marsousi è stata fermata, interrogata e rilasciata, ed è stato arrestato, rilasciato e di nuovo riarrestato anche il figlio di Saeed, Mohsen Hajjarian.


Aggiornamenti del 25 luglio:

Il Guardian del 21 luglio racconta che Saeed Hajjarian è sottoposto a pressioni per firmare una falsa confessione che gli permetterebbe di essere scarcerato. In sostanza Hajjarian dovrebbe ammettere di essere tra gli artefici di una rivoluzione concepita per rovesciare la Repubblica Islamica con marionette gradite alle potenze occidentali. Anche gli interrogatori e gli arresti subiti dalla moglie e dal figlio sarebbero strumenti di pressione usati a questo scopo. Sennonché Hajjarian si rifiuta di firmare qualsiasi confessione e quindi rimane in prigione.
Oggi si è diffuso un nuovo allarme sullo stato di salute di Hajjarian: notizie della BBC affermano che la moglie lo ha trovato indebolito, depresso e con il volto giallognolo. Secondo i suoi medici, l'ittero potrebbe essere dovuto o a un'eptatite virale contratta a causa delle pessime condizioni igieniche in carcere associate al caldo estivo, o a un'inappropriata assunzione di farmaci che avrebbe potuto danneggiare il fegato.


Aggiornamenti del 28 luglio:

È stata pubblicata ieri sul sito roozonline una drammatica intervista alla figlia di Saeed Hajjarian, Zeinab. L'intervista è stata oggi tradotta in inglese e ne è disponibile anche una versione italiana in una nota pubblicata da Negs Ir. Vengono forniti dettagli sempre più preoccupanti sulla prigionia di Hajjarian e sugli effetti che essa ha sulla sua salute, già gravemente compromessa.
Zeinab conferma che il viso del padre ha assunto un colorito giallastro con numerose macchie. "Mio padre - afferma Zeinab - dice che lo portano fuori con temperature di 40-42 gradi e lo tengono fermo sotto il sole. Poi lo riportano dentro e gli versano addosso del ghaiccio. Ne abbiamo parlato con il suo medico e lui dice che tutto questo può causare un'emorragia cerebrale e, poiché una delle sue vene è stata già seriamente danneggiata dalll'attentato del 2000, vogliono fare in modo che si formi un coagulo di sangue e ucciderlo in questo modo".
"Non accettano le medicine che noi portiamo per lui - ha aggiunto Zeinab - e perciò queste medicine, che sono per lui assolutamente necessarie, non gli vengono somministrate. Siamo molto preoccupati che le medicine che loro stessi gli danno non siano appropriate o gli vengano somministrate in dosi inadeguate."
Zeinab Hajjarian ha anche confermato che l'obiettivo delle autorità, e segnatamente del procuratore generale Saeed Mortazavi, è quello di ottenere da suo padre una falsa confessione ("ma lui non ha niente da perdere e non confesserà nulla") o, in alternativa, quello di causare la sua morte. Zeinab ha aggiunto che forti pressioni vengono esercitate anche su sua madre e su suo fratello. In particolare la madre sarebbe stata a lungo interrogata e costretta a scrivere su un foglio la storia di tutta la sua vita, dei viaggi compiuti all'estero, delle sue relazioni personali, e spinta ad affermare di essere in contatto con l'organizzazione (fuorilegge ) dei Mujaheddin Khalq.
L'intervista a Zeinab Hajjarian si conclude con un accorato e drammatico appello: "Non lasciate che lo uccidano".


Aggiornamenti del 29 luglio:

La giornata è cominciata con l'annuncio della imminente liberazione di Hajjarian. Un portavoce della magistratura iraniana ha sostenuto che il rilascio sarebbe avvenuto entro la giornata odierna, mercoledì 29 luglio. La notizia è stata ripresa da numerose agenzie e giornali online, e un sito iraniano, anticipando i tempi, ha scritto che Hajjarian era già libero. L'ansia di saperlo libero era tale che il tamtam si è rapidamente diffuso per la rete. La smentita è arrivata poche ore dopo dalla sua famiglia e dall'avvocato: Hajjarian non era ancora stato rimesso in libertà. L'attesa della liberazione si è quindi protratta per tutta la giornata.
Di fatto, però, mercoledì 29 è terminato e un altro giorno è trascorso con Saeed Hajjarian invalido, malato, descritto allo stremo delle forze e in condizioni di salute in preoccupante peggioramento, ma sempre prigioniero politico del regime della Repubblica Islamica dell'Iran.


Aggiornamenti del 30 luglio

Saeed Hajjarian ha lasciato la prigione, ma non è un uomo libero. Kazem Jalali, portavoce della speciale commissione parlamentare di vigilanza sulla situazione dei prigionieri detenuti in Iran, ha annunciato che il 29 luglio Hajjarian è stato trasferito in una casa di proprietà statale, dotata di confort e attrezzature medico-sanitarie, dove potrà ricevere le cure di cui ha bisogno così come la visita dei suoi familiari. Jalali ha citato come fonte della notizia il procuratore di Tehran Saeed Mortazavi.
Ancora durante la giornata di oggi, tuttavia, la famiglia di Hajjarian ha sostenuto di non sapere nulla dell'avvenuto trasferimento. Peraltro gli osservatori fanno notare che queste "case di proprietà statale" sono di solito gestite dalla Guardia Rivoluzionaria e dal Ministero per la sicurezza. Perciò chi viene "ospitato" in tali strutture è tenuto sotto stretta vigilanza, continua a subire pressioni ed è tutt'altro che libero.


Aggiornamento del 3 agosto

Per la prima volta dal giorno dell'arresto, Saeed Hajjarian è comparso pubblicamente.
E' stato mostrato come un pupazzo inanimato dalla tv iraniana, nello stesso contesto in cui sono stati mostrati Mohammad Ali Abtahi e Mohammad Atrianfar, i due grandi protagonisti del processo farsa in corso a Tehran, con le loro "confessioni" presumibilmente estorte con la forza, le minacce, le torture dalle autorità iraniane.
Hajjarian non ha detto una parola, ma il fatto che sia stato "esposto" insieme a loro, lascia supporre che siamo vicini all'ennesimo show organizzato dal regime: la "confessione" pubblica di Saeed Hajjarian.

Nel frattempo nuove preoccupazioni si nutrono sulle condizioni di Hajjarian e sul luogo della sua detenzione: non sarebbe, come era stato assicurato dal procuratore Mortazavi, una casa dotata dei confort necessari allo stato di salute di Hajjarian, bensì una sorta di posto di polizia in cui l'unica fonte di confort sarebbero un paio di ventilatori e niente più.


Aggiornamento del 26 agosto 2009

Come previsto, e come si temeva, Saeed Hajjarian è stato il grande protagonista della quarta udienza del "processo farsa" andata in scena presso l'aula Khomeini del Tribunale Rivoluzionario di Theran il 25 agosto. La sua presenza in aula era del resto stata annunciata ai familiari nei giorni immediatamente precedenti. Hajjarian è stato condotto in aula con un'ora di ritardo (questo spiega perché, nella prima serie di fotografie scattate e pubblicate dall'agenzia semi-ufficiale Fars News, la poltrona in prima fila poi occupata da Hajjarian risulti vuota). Hajjarian ha presentato alla corte un lungo e articolato documento da lui stesso firmato ma, date le sue difficoltà di parola legate all'invalidità, il documento è stato letto in aula da Saeed Shariati, come Hajjarian membro del partito di opposizione Fronte Islamico di Partecipazione Iran e anche lui detenuto e sotto processo.
Il documento, con il quale Hajjarian annuncia le dimissioni dal suo partito, benché sia stato chiaramente frutto di pressioni e coercizioni, rappresenta secondo l'interpretazione di Muhammad Sahimi su Theran Bureau un estremo atto di coraggio di Hajjarian, il quale assume su di sé la responsabilità delle analisi sbagliate e dei danni che il suo partito avrebbe arrecato al paese. Di sicuro con questa "confessione" forzata, in cui Hajjarian è costretto a rinnegare tutto il suo passato politico facendo propria l'interpretazione dei fatti confezionata dal procuratore Mortazavi, si compie l'ultima umiliazione imposta dal regime all'Hajjarian politico e oppositore. L'uomo era stato già distrutto dall'attentato del 2000.
Ampi estratti del documento si possono leggere in inglese in un lancio dell'agenzia Fars News.
Hajjarian ammette di conoscere ed essere in contatto con la Soros Foundation (organizzazione alla quale il teorema accusatorio imputa di avere svolto un ruolo essenziale nella pianificazione delle proteste seguite alle elezioni del 12 giugno). Il rappresentante a Tehran della fondazione sarebbe stato lo studioso (con doppio passaporto iraniano e statunitense) Kian Tajbakhsh e Hajjarian lo avrebbe conosciuto e incontrato due volte per il tramite di Naser Hadian, lettore della facoltà di Legge dell'università di Tehran. "Durante questi incontri ci siamo accordati per attivare in Iran varie organizzazioni non governative e abbiamo anche progettato di rinforzare la società civile pianificando la disobbedienza organizzata. Pensavamo di utilizzare l'esperienza della Soros Foundation per porre in atto una rivoluzione di velluto", ha aggiunto Hajjarian. Egli ha anche sottolineato che l'Occidente cerca di stabilire in Iran il suo modello di democrazia e che per farlo pensa che possano essere usate in Iran le stesse tecniche da "rivoluzione di velluto" adoperate in altri paesi. "I nostri nemici - ha detto Hajjarian - tentano di impedire il progresso e lo sviiluppo dell'Iran". "Per questo - egli aggiunge - il nostro dovere è quello di mantenere l'unità e la solidarietà nazionale e rafforzare la vigilanza per prevenire le infiltrazioni dei nemici tra le linee del nostro paese".
Infine Hajjarian ha chiesto perdono a tutta la nazione per i suoi errori e per la corruzione del suo partito.
Tuttavia un'altra fonte filo-governativa, Press Tv, riporta un'altra frase in cui Hajjarian afferma di "non essere stato mai convolto in atti di crudeltà e inimicizia contro la nazione iraniana e contro le istituzioni islamiche" ed esprime tutto il suo "odio contro azioni e mosse che hanno minacciato la sicurezza nazionale".

Nel corso dell'udienza il giudice, in rappresentanza del procuratore, ha chiesto per Hajjarian "il massimo della pena" in considerazione dell'importanza del suo caso. Per il reato di attentato alla sicurezza nazionale il "massimo della pena" è la sentenza di morte.



Aggiornamento del 30 settembre 2009

Saeed Hajjarian è stato rilasciato oggi dopo 106 giorni di detenzione. Il suo avvocato, Gholamali Riahi, senza specificare ulteriori dettagli, ha affermato che il rilascio è avvenuto su cauzione e che Hajjarian dovrà comunque comparire alla prossima udienza del processo di massa in corso a Tehran.
Nei giorni scorsi la tv di stato iraniana aveva trasmesso una trasmissione televisiva in cui Hajjarian, con altri due prigionieri, Saeed Shariati e Mohammad Atrianfar, faceva pubblica ammenda dei suoi errori politici. Nel corso del programma Hajjarian, che parla con grande difficoltà a causa degli esiti dell'attentato del 2000, era apparso molto affaticato.

(L'immagine in alto è una delle prime scattate a Hajjarian dopo la liberazione)


Prigionieri politici in Iran 13: Mohammad Maleki
Prigionieri politici in Iran 12: Ahmad Zeydabadi
Prigionieri politici in Iran 11: Saeed Laylaz
Prigionieri politici in Iran 10: Isa Saharkhiz
Prigionieri politici in Iran 9: Kian Tajbakhsh
Prigionieri politici in Iran 8: Mahsa Amrabadi e Masoud Bastani
Prigionieri politici in Iran 7: Mohammad Ali Dadkhah
Prigionieri politici in Iran 6: Shiva Nazar Ahari
Prigionieri politici in Iran 4: Mitra Farahani
Prigionieri politici in Iran 3: Bijan Khajehpour
Prigionieri politici in Iran 2: Abdolfattah Soltani
Prigionieri politici in Iran 1: Jila Baniyaghoub e Bahaman Ahamadi Amoee

Rilasciato l'avvocato Abdolfattah Soltani


L'avvocato Abdolfattah Soltani, attivista per i diritti umani e fondatore con il premio Nobel per la pace Shirin Ebadi del Defenders of Human Rights Center a Tehran, detenuto nel carcere di Evin sin dal 16 giugno scorso, è stato rilasciato oggi dopo il pagamento di una cauzione di 85mila euro circa. Ne dà notizia il sito del quotidiano tedesco Nürnberger Zeitung. Il ministero degli esteri tedesco non conferma la notizia, che è però rilanciata da vari siti iraniani, tra cui quello di Radio Farda.
La Germania, e la città di Norimberga in particolare, ha seguito con particolare ansia la sorte dell'avvocato Soltani al quale il 4 ottobre prossimo dovrebbe venire consegnato il Nuremberg International Human Rights Award 2009. Solo ieri il segretario di stato agli affari esteri Guenter Gloser aveva fatto un nuovo tentativo per ottenere la liberazione di Soltani. La speranza ora è che l'avvocato Soltani possa esser presente di persona alla cerimonia di premiazione che si svolgerà all'Opera House di Norimberga anche se, nonostante il suo rilascio, ci sono molti dubbi che ciò possa avvenire perché è difficile che le autorità iraniane gli consentano di lasciare il paese.

Prigionieri politici in Iran 4: Mitra Farahani



4) Mitra Farahani

arrestata il 17 giugno 2009,
rilasciata su cauzione il 30 giugno 2009

Regista cinematografica e pittrice, 34 anni, Mitra Farahani risiede in Francia, a Parigi, dal 1998.
Nel 2004 ha diretto il film Tabous, in cui ha descritto la sessualità, in buona parte repressa, i desideri e le frustrazioni della moderna società iraniana. Quel film le ha naturalmente procurato l’ostilità del regime e degli ambienti tradizionalisti in Iran, ma ha anche avuto notevole successo di pubblico, benché sia circolato clandestinamente.
In precedenza, nel documentario Juste une femme, presentato e premiato al Festival di Berlino del 2002, Mitra Farahani aveva descritto la storia di un uomo divenuto donna, raccontando come, in una società in cui è impossibile vivere liberamente l’omosessualità, la sola via di fuga sia cambiare sesso (cosa che molti gay iraniani fanno anche se ne parla poco).
Mitra Farahami ha deciso di recarsi nel suo paese dopo le elezioni, forse con imprudenza — considerato che le autorità hanno da tempo segnato il suo nome nel loro libro nero — ma con il comprensibile desiderio di stare vicino alla sua gente in un momento così importante, e probabilmente anche con l'intenzione di riprendere con la cinepresa qualche fase della protesta. Dopo averla identificata al controllo passaporti, gli agenti non l’hanno nemmeno fatta uscire dall’aeroporto di Tehran, e i suoi amici l’hanno attesa invano. Per due giorni è stata trattenuta nell’ufficio di polizia dell’aeroporto, poi è stata condotta nel carcere di Evin.
Il 30 giugno scorso è stata rilasciata dietro pagamento di cauzione. Non le sono stati però restituiti i documenti, perciò non può lasciare l’Iran, dove del resto continua ad essere interrogata dai servizi di sicurezza e non si sa quale esito potrà avere il suo caso giudiziario.
Nel frattempo Mitra Farahani ha potuto raccontare via email agli amici francesi la sua prima notte trascorsa in cella a Evin: quasi in forma di surreale sceneggiatura cinematografica.



Prigionieri politici in Iran 13: Mohammad Maleki
Prigionieri politici in Iran 12: Ahmad Zeydabadi
Prigionieri politici in Iran 11: Saeed Laylaz
Prigionieri politici in Iran 10: Isa Saharkhiz
Prigionieri politici in Iran 9: Kian Tajbakhsh
Prigionieri politici in Iran 8: Mahsa Amrabadi e Masoud Bastani
Prigionieri politici in Iran 7: Mohammad Ali Dadkhah
Prigionieri politici in Iran 6: Shiva Nazar Ahari
Prigionieri politici in Iran 5: Saeed Hajjarian
Prigionieri politici in Iran 3: Bijan Khajehpour
Prigionieri politici in Iran 2: Abdolfattah Soltani
Prigionieri politici in Iran 1: Jila Baniyaghoub e Bahaman Ahamadi Amoee

Prigionieri politici in Iran 3: Bijan Khajehpour



3) Bijan Khajehpour

arrestato il 27 giugno 2009

Economista e analista politico stimato a livello internazionale.
Espatriato, ha compiuto i suoi studi in Germania, in Gran Bretagna e a Parigi. È tornato nel suo paese nel 1997, dopo che Mohammad Khatami era stato eletto presidente e nuove speranze per un Iran libero e democratico erano fiorite.
Attualmente Khajehpour è presidente del consiglio di amministrazione della Science and Arts Foundation in Iran, organizzazione non governativa che ha per scopo la crescita e lo sviluppo della gioventù iraniana per mezzo della tecnologia informatica. Presidente e fondatore di Atieh Group (consorzio di aziende di consulenza legale e finanziaria), così come di Atieh Dadeh Pardaz (consulenza informatica), Khajehpour ha anche contribuito con saggi e articoli, pubblicati in patria e all’estero, all’analisi delle strategie politiche e dello sviluppo economico in Iran. È membro del comitato editoriale della rivista Guftogu (trimestrale di cultura, politica e società).
Poche settimane prima del 12 giugno, ha pubblicato sul Guardian un articolo intitolato “Young Iran's search for a leader” (29 maggio 2009), dedicato all’importanza del voto giovanile nelle imminenti elezioni politiche iraniane.
È stato arrestato il 27 giugno scorso all’aeroporto di Tehran dove era appena atterrato di ritorno dall’Europa. Si era infatti recato prima in Austria, per parlare alla camera di commercio di Vienna, e poi in Gran Bretagna, per incontrare a Londra i rappresentanti della Iran British Business Chamber. In un caso e nell’altro lo scopo del suo breve viaggio era stato quello di incoraggiare gli investimenti stranieri in Iran, attività che Khajehpour svolge regolarmente da anni. Come “premio”, ha trovato al suo ritorno uno speciale “comitato di accoglienza”: persone non identificate (probabilmente agenti dei servizi segreti in borghese) lo hanno preso in consegna e non hanno fornito spiegazioni né sul luogo di detenzione, né sulle ragioni del provvedimento, che rimangono a tutt'oggi incomprensibili. È bene infatti ribadire che, nei giorni in cui la protesta popolare è esplosa, Khajehpour non si trovava nemmeno in Iran, ma all'estero.
Originario di Khoy, nella provincia dell’Azerbaijan iraniano, Bijan Khajehpour è noto tra gli amici e i colleghi come una persona mite e tollerante, sensibile ai problemi umanitari, ambientalista convinto al punto da essere diventato vegetariano, spesso coinvolto in attività solidali, scolastiche, educative. È ammalato di diabete e bisognoso di cure e di una dieta speciale. La moglie e le due giovani figlie vivono perciò, da settimane, nell’angoscia.
Manca, di lui, qualsiasi notizia.

Aggiornamento del 20 agosto 2009

La presenza di Bijan Khajehpour tra gli imputati alla sbarra nella seconda udienza del "processo-farsa" di Tehran, l'8 agosto scorso, è passata quasi inosservata. E' stata oscurata mediaticamente da quella della giovane studiosa francese Clotilde Reiss e da quella di Hossein Raman, impiegato dell'ambasciata britannica in Iran. Eppure Bijan Khajehpour era lì.
Ieri Paul Taylor, giornalista dell'agenzia Reuters, ha dedicato a Khajehpour un lungo articolo. Si guardano le foto del processo (scattate dell'agenzia semiufficiale Fars News) e si fa fatica a riconoscerlo: il volto smagrito, la barba lunga, lo sguardo perso. Privato degli occhiali — pare — sin dal giorno del suo arresto, Khajehpour vede poco e male. Sembra tuttavia in discrete condizioni di salute e riceve regolarmente le sue medicine per il diabete.
Si sa che è detenuto nel carcere di Evin, come molti altri prigionieri politici. Alla famiglia non è stata notificata alcuna accusa a suo carico, né le agenzie di stampa iraniana di tali accuse hanno dato notizia. Khajehpour è stato perciò privato della libertà dal 27 giugno senza che le ragioni siano state pubblicamente spiegate. Nel frattempo, mentre i suoi familiari erano all'estero, la sua casa è stata perquisita da cima a fondo.
E' inutile sottolineare che, come tutti gli altri imputati del "processo farsa", anche Khajehpour non ha potuto conferire con il suo avvocato. Ha incontrato per caso un avvocato fuori dell'aula processuale, giusto il tempo di dirgli che in aula ha respinto le accuse (ma in tv tutto questo non si è visto, le "confessioni" televisive sono state accuratamente selezionate, e l'atteggiamento processuale assunto da Khajehpour spiegherebbe anche il fatto che la sua presenza in aula è stata fatta passare sotto silenzio). Tali accuse — non è difficile immaginarlo — dovrebbero essere simili a quelle mosse agli altri imputati, specialmente a coloro che, come Khajehpour, per ragioni di lavoro viaggiano all'estero e hanno contatti nei paesi occidentali: spionaggio, complotto contro lo Stato, collaborazione con paesi stranieri nemici della Repubblica Islamica dell'Iran.
Di sicuro c'è che, all'estero, la cattura, la detenzione e il processo subiti da Kahjehpour non giovano all'immagine dell'Iran: un uomo per il quale tutti (diplomatici, economisti, analisti, ONG, personalità del mondo finanziario) nutrono stima e ammirazione; un uomo che si è speso e prodigato per incoraggiare gli investimenti stranieri nel suo Paese; un uomo che ha contatti con il mondo accademico internazionale, con compagnie petrolifere e aziende che hanno o potrebbero avere rapporti economici con l'Iran; un uomo di questa levatura viene per queste stesse ragioni considerato sospetto, arrestato e processato dal regime. La domanda con cui Paul Taylor conclude il suo articolo, non a caso, proviene da un funzionario di una compagnia petrolifera europea cliente di Bijan Khajehpour: "Perché l'Iran arresta una persona che lavora così duramente per il bene del suo Paese?".
Nel frattempo l'associazione pacifista Iranians for Peace, di cui Bijan Khajehpour è sostenitore, ha diffuso un accorato appello per la sua liberazione.



Prigionieri politici in Iran 13: Mohammad Maleki
Prigionieri politici in Iran 12: Ahmad Zeydabadi
Prigionieri politici in Iran 11: Saeed Laylaz
Prigionieri politici in Iran 10: Isa Saharkhiz
Prigionieri politici in Iran 9: Kian Tajbakhsh
Prigionieri politici in Iran 8: Mahsa Amrabadi e Masoud Bastani
Prigionieri politici in Iran 7: Mohammad Ali Dadkhah
Prigionieri politici in Iran 6: Shiva Nazar Ahari
Prigionieri politici in Iran 5: Saeed Hajjarian
Prigionieri politici in Iran 4: Mitra Farahani
Prigionieri politici in Iran 2: Abdolfattah Soltani
Prigionieri politici in Iran 1: Jila Baniyaghoub e Bahaman Ahamadi Amoee

mercoledì 26 agosto 2009

Prigionieri politici in Iran 2: Abdolfattah Soltani



2) Abdolfattah Soltani

arrestato il 16 giugno 2009,
rilasciato su cauzione il 27 agosto 2009

Noto avvocato difensore dei diritti umani, ha rappresentato in giudizio (con il premio Nobel per la pace Shirin Ebadi) la famiglia di Zahara Kazemi, fotogiornalista iraniana-canadese assassinata nel carcere di Evin nel 2003. Sempre con la Ebadi, Soltani ha anche difeso il giornalista dissidente Akbar Ganij durante la sua prigionia e il lungo sciopero della fame.
È tra i fondatori (come Shirin Ebadi e Mohammad Ali Dadkhah) del Defenders for Human Rights Center (DHRC).
Sin dal 2002 è stato perseguitato dal regime per la sua attività legale in difesa dei prigionieri politici. Il 9 luglio 2002 fu condannato a quattro mesi di carcere e sospeso per cinque anni dall'esercizio della professione dopo aver difeso una dozzina di prigionieri politici. Nuovamente arrestato il 20 gennaio 2003, tra il 2005 e il 2006 l’avvocato Soltani ha trascorso ben 219 giorni consecutivi nel carcere di Evin. È stato infatti arrestato il 30 luglio 2005 con l'accusa di aver rivelato all'estero segreti sul caso delle cosiddette "spie nucleari". A firmare il mandato di arresto fu il procuratore di Tehran, Saeed Mortazavi.
Ci vollero cinque mesi (due dei quali trascorsi in cella di isolamento) prima che a Soltani venisse consentito di parlare con il suo avvocato. Ce ne vollero "solo" due perché potesse ricevere la visita della moglie, sotto sorveglianza di una guardia carceraria.
Rilasciato dietro pagamento di cauzione il 6 marzo 2006, Soltani è stato condannato dalla Corte Rivoluzionaria a cinque anni di reclusione e alla perdita dei diritti civili per “aver violato la segretezza delle indagini preliminari” "diffuso documenti segreti" e svolto "propaganda contro il sistema" . È stato assolto in appello nel 2007, e tuttavia il regime gli ha confiscato i documenti di identità, di fatto limitando la sua libertà di movimento; perciò l’avvocato Soltani ha dovuto rinunciare a presenziare alla conferenza sul tema “Libertà di espressione in Iran” che si è tenuta alla Sorbonne di Parigi nell’ottobre 2007 e alla quale era stato ufficialmente invitato.
È stato arrestato di nuovo il 16 giugno scorso, nel suo ufficio, e trasferito in luogo ignoto, senza mandato di cattura e senza motivi che ne giustifichino la prigionia. Ad eseguire l’arresto, alle 16 (ora di Tehran) sono stati quattro ufficiali in borghese. Costoro hanno anche confiscato all’avvocato Soltani i documenti, la borsa, il computer e il cellulare. Le testimonianze sulle sue condizioni, dopo oltre un mese dall’arresto, lo confermano detenuto a Evin e riferiscono di uno stato di dimagrimento particolarmente preoccupante dato che Soltani soffre da tempo di seri disturbi dell’apparato digerente. Il prossimo 17 settembre Abdolfattah Soltani dovrebbe recarsi in Germania a ritirare il Premio Internazionale Norimberga per i Diritti Umani, che gli è stato nel frattempo assegnato.


Aggiornamento del 31 luglio 2009

L'Ufficio per i diritti umani di Norimberga ha appreso che l'avvocato Soltani non si troverebbe più in isolamento e gli sarebbe consentito di chiamare per telefono i suoi familiari. La notizia è riferita dal sito di un giornale locale (in tedesco).



Aggiornamento del 23 agosto 2009

L'avvocato Soltani è in carcere da 70 giorni. Alcuni giorni fa la moglie, Massome Dehghanm, ha scritto una lettera (riportata dal sito di Radio Farda) al capo della magistratura Mohammad Sadeq Larijani, ufficialmente insediatosi nel suo ruolo il 15 agosto scorso e succeduto a Mahmoud Shahroudi.
Nella lettera Massome Dehghanm fa appello ai principi di indipendenza e imparzialità della magistratura. A tal proposito ella ricorda che i giudici che hanno firmato l'ordine di arresto nei confronti del marito, accusandolo di avere fomentato le proteste post-elettorali, sono gli stessi (Saeed Mortazavi e Mateen Rasekh) che in passato lo avevano fatto arrestare accusandolo di spionaggio (per avere divulgato documenti riservati riguardanti il programma nucleare del paese, vedi sopra), accusa per la quale l'avvocato Soltani era poi stato assolto in appello.
Massome Dehghanm nega le responsabilità del marito e sottolinea che egli è un avvocato e un difensore dei diritti umani, non un attivista politico. La signora Dehghanm ricorda anche al capo della magistratura Larijani che sono ormai trascorsi i 60 giorni previsti dalla legge iraniana come termine massimo per la custodia cautelare, e che la stessa legge prevede, oltre quel termine, il rilascio dell'accusato se il provvedimento di arresto non viene confermato e prorogato. Infine ella scrive che, nel corso di questo lungo periodo di detenzione, Abdolfattah Soltani ha subito numerose violazioni dei suoi diritti civili, in primis l'impossibilità di incontrare i suoi familiari e il suo avvocato.

Quasi contemporaneamente il Defenders of Human Rights Center ha rilasciato un comunicato in cui protesta contro le continue intimidazioni subite dai suoi membri, ricordando che oltre agli arresti degli avvocati Soltani e Dadkhah, e del collaboratore del centro Abdolreza Tajik, altri membri dell'associazione sono stati ripetutamente convocati dalle autorità, sottoposti a interrogatorio e minacciati di andare incontro a severe misure di sicurezza se non sospenderanno la loro attività.


Aggiornamento del 27 agosto 2009

L'avvocato Abdolfattah Soltani è stato rilasciato oggi dopo il pagamento di una cauzione di 85mila euro circa. Era detenuto nel carcere di Evin da 72 giorni.
Ne dà notizia il sito del quotidiano tedesco Nürnberger Zeitung. Il ministero degli esteri tedesco non conferma la notizia, che è però rilanciata da vari siti iraniani, tra cui quello di Radio Farda.
La Germania, e la città di Norimberga in particolare, ha seguito con particolare ansia la sorte dell'avvocato Soltani al quale il 4 ottobre prossimo dovrebbe venire consegnato il Nuremberg International Human Rights Award 2009. Solo ieri il segretario di stato agli affari esteri Guenter Gloser aveva fatto un nuovo tentativo per ottenere la liberazione di Soltani.
La speranza ora è che l'avvocato Soltani possa esser presente di persona alla cerimonia di premiazione che si svolgerà all'Opera House di Norimberga anche se, nonostante il suo rilascio, ci sono molti dubbi che ciò possa avvenire perché è difficile che le autorità iraniane gli consentano di lasciare il paese.


Prigionieri politici in Iran 13: Mohammad Maleki
Prigionieri politici in Iran 12: Ahmad Zeydabadi
Prigionieri politici in Iran 11: Saeed Laylaz
Prigionieri politici in Iran 10: Isa Saharkhiz
Prigionieri politici in Iran 9: Kian Tajbakhsh
Prigionieri politici in Iran 8: Mahsa Amrabadi e Masoud Bastani
Prigionieri politici in Iran 7: Mohammad Ali Dadkhah
Prigionieri politici in Iran 6: Shiva Nazar Ahari
Prigionieri politici in Iran 5: Saeed Hajjarian
Prigionieri politici in Iran 4: Mitra Farahani
Prigionieri politici in Iran 3: Bijan Khajehpour
Prigionieri politici in Iran 1: Jila Baniyaghoub e Bahaman Ahamadi Amoee

Prigionieri politici in Iran 1: Jila Baniyaghoub e Bahaman Ahamadi Amoee



Questa è la prima di una serie di note sui prigionieri politici arrestati in Iran dopo le elezioni del 12 giugno.
La documentazione sul loro conto è spesso frammentaria, perciò raccoglierla e controllarla non è semplice. Chiedo perciò la collaborazione di tutti a questa nota e alle altre simili che seguiranno, sia per quanto riguarda integrazioni e/o correzioni , sia per quanto riguarda la diffusione (condividetele). Chi avesse voglia o tempo potrebbe persino provare a tradurle in inglese. Ovviamente chi non vuole essere taggato e ricevere queste note può molto semplicemente segnalarlo e non lo disturberò in futuro.
Credo che sia di fondamentale importanza mantenere alta l'attenzione su questi casi e sulla feroce repressione con cui il regime della Repubblica Islamica dell'Iran si sta sbarazzando in queste settimane di intellettuali, giornalisti, dissidenti, attivisti per i diritti umani, avvocati, studenti e persino artisti.
Naturalmente la situazione di ogni detenuto cambia di ora in ora, perciò ogni aggiornamento sarà gradito.

1) Jila Baniyaghoub e Bahaman Ahamadi Amoee

arrestati il 20 giugno 2009.
Jila Baniyaghoub è stata rilasciata il 19 agosto 2009

Moglie e marito, entrambi giornalisti.

Jila Baniyaghoub è una reporter freelance ed è redattore capo del sito Kanoon Zanan Irani (Focus sulle donne dell’Iran), di frequente censurato dalle autorità a causa della continua attività di denuncia dell’oppressione sociale e politica che grava sulle donne iraniane. La Baniyaghoub è stata già più volte lincenziata nel passato, pagando la sua volontà di non sottomettersi alla censura. Il regime ha spesso fatto in modo di ostacolarla nell’esercizio della professione e nell’accesso ai mezzi d’informazione. È stata in più occasioni incarcerata e torturata.
Il 12 giugno 2006 fu arrestata insieme ad altre 70 persone (42 donne), davanti all’università di Tehran, mentre seguiva per il giornale riformista Sarmayeh una manifestazione contro la discriminazione di genere, manifestazione violentemente repressa dalle forze dell’ordine.
Nel marzo del 2007 fu arrestata mentre seguiva il caso di un processo della Corte Rivoluzionaria Islamica contro attivisti per i diritti delle donne; in quella circostanza venne rinchiusa in un braccio speciale del carcere di Evin a Tehran, tenuta in cella di isolamento, interrogata al buio, costretta a bere acqua sporca, il che le causò una grave intossicazione.
Il 12 giugno 2008 fu di nuovo arrestata con altre nove donne che commemoravano la manifestazione di due anni prima. È tra i membri fondatori della campagna One Million Signatures Campaign for Equality, nata con l’obiettivo di cambiare le leggi iraniane che discriminano le donne. Ha anche pubblicato un libro, Journalists in Iran, e ne sta preparando un altro, Women in the Unit 209 of Evin, basato sull’osservazione diretta di come vivono le donne imprigionate nel carcere di Evin. Il libro non verrà pubblicato in Iran, ma all’estero. Il 18 maggio scorso l’International Women Media Foundation le ha conferito il premio “Coraggio nel giornalismo” (vinto nel 2002 da Anna Politkovskaya).
Suo marito, Bahaman Ahamadi Amoee, scrive su vari giornali e pubblicazioni di orientamento riformista.
Sono stati arrestati in casa loro, a mezzanotte del 20 giugno 2009, da agenti dei servizi segreti in borghese.
Secondo le notizie più recenti Jila Baniyaghoub sarebbe detenuta nella prigione di Evin in una cella che condivide con l'attivista per i diritti umani Shiva Nazar A'hari e altre due donne.


Aggiornamento del 19 agosto 2009

Jila Baniyaghoub è stata rilasciata poche ore fa. Ha trascorso 60 giorni di prigionia nel carcere di Evin senza che alcuna accusa formale abbia potutto essere mossa a suo carico.


Aggiornamento del 20 agosto 2009

Reporters Sans Frontières precisa alcuni dettagli sulla liberazione di Jila Baniyaghoub. Il rilascio è avvenuto dietro pagamento di cauzione: 100 milioni di toman (90mila euro). La stessa fonte aggiunge anche notizie sul marito della Baniyaghoub, Bahaman Ahmadi Amoee, del quale poco o nulla si è saputo dal giorno del suo arresto e che risulta, purtroppo, trovarsi ancora in isolamento nel braccio 209 del carcere di Evin.


Aggiornamento del 23 agosto 2009

Due giorni dopo la sua liberazione, Jila Baniyaghoub ha scritto una toccante lettera aperta per ricordare i compagni di prigionia che sono tuttora rinchiusi nel carcere di Evin, e citando tra gli altri Saeed Laylaz, Abdolfattah Soltani, Shiva Nazar Ahari, Masoud Bastani e ovviamente suo marito Bahman.
"Non riesco a dormire — scrive la Baniyaghoub — "Come potrei farlo nel fresco del mio letto a casa, quando loro sono nel caldo della cella in prigione?". Jila racconta anche che gli amici le hanno portato centinaia di fiori e dozzine di scatole di dolci e cioccolatini, così come tantissima frutta (soprattutto anguria). Ma lei non riesce a toccare nulla, perché pensa alle sue compagne di cella alle quali non è permesso comprare né dolci né frutta. "Non mangerò dolci e cioccolata senza di voi. Vi aspetterò e li mangeremo insieme per festeggiare la ritrovata libertà".


Aggiornamento del 24 agosto

A Bahaman Ahamadi Amoee è stato proibito di ricevere visite (fonte: il blog Revolutionary Road). La famiglia lo ha appreso nel peggiore dei modi, cioè dopo essersi recata al carcere di Evin e avere aspettato lunghe ore per incontrarlo. Il fratello Safar Ahmadi ha raccontato: "Dopo ore di attesa un agente ci ha condotti nella sala visite del braccio 209, dove abbiamo trascorso un'altra ora e solo a quel punto ci è stato detto che Bahaman non può ricevere visitatori. Se questa non è una tortura per la famiglia di un detenuto, ditemi voi cos'è.
Safar Ahmadi ha anche sottolineato che il fratello è uno dei pochi prigionieri ad avere avuto la possibilità di incontrare i familiari una sola volta in 65 giorni di detenzione. "Era venuta insieme a me anche mia cognata Jila Baniyaghoub, che è stata rilasciata pochi giorni fa. Sperava di poter incontrare il marito dopo così tanto tempo".


Prigionieri politici in Iran 13: Mohammad Maleki
Prigionieri politici in Iran 12: Ahmad Zeydabadi
Prigionieri politici in Iran 11: Saeed Laylaz
Prigionieri politici in Iran 10: Isa Saharkhiz
Prigionieri politici in Iran 9: Kian Tajbakhsh
Prigionieri politici in Iran 8: Mahsa Amrabadi e Masoud Bastani
Prigionieri politici in Iran 7: Mohammad Ali Dadkhah
Prigionieri politici in Iran 6: Shiva Nazar Ahari
Prigionieri politici in Iran 5: Saeed Hajjarian
Prigionieri politici in Iran 4: Mitra Farahani
Prigionieri politici in Iran 3: Bijan Khajehpour
Prigionieri politici in Iran 2: Abdolfattah Soltani